“Mi Chiamo Rachel Corrie”: va in scena una storia di raro coraggio

Di Adriano Ercolani

Il prossimo fine settimana sarà in scena al Teatro Sala Uno di Roma lo spettacolo Mi Chiamo Rachel Corrie, testo teatrale curato da Alan Rickman (l’attore e regista inglese morto nel gennaio dell’anno scorso, celebre tra le nuove generazioni per il popolare ruolo di  Severus Piton nella saga di Harry Potter).

Mi Chiamo Rachel Corrie
Mi Chiamo Rachel Corrie

Lo spettacolo Mi Chiamo Rachel Corrie (in scena sabato 25 alle 20.45 e domenica alle 17.45 e alle 20.45) è tratto dai diari di Rachel Corrie,  una ragazza americana che nel 2003 decise di unirsi all’ISM – International Solidarity Movement – movimento palestinese impegnato nella resistenza non-violenta all’occupazione israeliana.

Poco tempo dopo il suo arrivo a Gaza, il 16 marzo, il destino di Rachel fu tragico: la militante venne schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano, mentre cercava di impedire la demolizione della casa di una famiglia, utilizzando il proprio corpo come scudo.

Da quel giorno, Rachel Corrie è divenuta un’icona internazionale della lotta contro l’ingiustizia, anche grazie alle rappresentazioni dello spettacolo (adattato da elaborato da Alan Rickman e Katharine Viner) presso il Royal Court Theatre di Londra, poi al Minetta Lane Theatre di New York.

Uno spettacolo non facile, impegnato quanto impegnativo, realizzato anche grazie ad una campagna di crowdfounding attivata sul sito Eppela.

Ben 52 contributori hanno sostenuto il progetto, inviando un chiaro segnale al mondo dell’industria culturale: c’è ancora bisogno di storie autentiche, scomode, non banali.

Abbiamo incontrato l’attrice che interpreta la protagonista, in un notevole tour de force attoriale, la talentuosa Maria Laura Caselli.

Come nasce l’idea di questo spettacolo?

L’attrice Maria Laura Caselli

L’idea nasce nel 2003: vidi in televisione la notizia della morte di Rachel Corrie, e notai subito la forte somiglianza fisica con questa ragazza. Ho iniziato a conoscere la sua storia e a seguire il processo che i genitori di Rachel portarono avanti per rendere almeno giustizia alla morte di loro figlia.

Qualche anno più tardi scoprii in libreria che Alan Rickman si era occupato di realizzare un adattamento teatrale dei diari di Rachel, comprai  subito il libro e a quel punto ho dovuto solo aspettare il momento giusto per metterlo in scena. Ho aspettato di avere tempo, denaro e coraggio.

Tutto questo è arrivato nel maggio del 2016.

Quale pensi sia l’importanza dell’opera?

Il conflitto israelo palestinese è un tema su cui troppo spesso si sorvola: un conflitto che dura da secoli non fa più notizia. C’è invece bisogno di parlarne, di conoscere, e non necessariamente di prendere una posizione netta, ma almeno la conoscenza dei fatti, questo sì, mi sembra fondamentale.

Mettere in scena i diari di Rachel Corrie significa dare uno spunto di riflessione, un punto di vista: la storia di una ragazza normale, che era voluta andare a vedere con i suoi occhi le conseguenze della politica estera del suo Stato: gli Stati Uniti D’ America.

Un ragazza divenuta martire suo malgrado, che aveva tanti progetti in mente e che purtroppo non ha potuto realizzarli perché stroncata da un bulldozer a soli 23 anni. Una storia di coraggio che secondo me può spronare a vivere più da protagonisti la nostra vita.

Quali difficoltà e quali soddisfazioni hai incontrato nel mettere in scena una storia così difficile e impegnativa?

Ho realizzato questo spettacolo grazie ad un crowdfunding: una raccolta di fondi online, tramite il sito Eppela.

Lo avrei comunque realizzato a spese mie se l’obiettivo del crowdfunding non fosse stato raggiunto, ma così non è stato. Il sostegno che ho ricevuto è stato spiazzante e incoraggiante allo stesso tempo: 52 sostenitori per un obiettivo di 3200 euro, obiettivo più che superato.

Questo sostegno mi ha spronata a fare ancora meglio, confermandomi quando ci sia bisogno di progetti e idee a tematica politico-sociale. Che è ciò che io voglio fare con il mio mezzo che è il teatro.

Ti sei ispirata a qualche opera o attrice precedente?

Sono stata in ascolto di ciò che volevo io e di ciò di cui  mi sembrava ci fosse necessità di parlare. Mettere in scena questo spettacolo è stato un momento di raccolta di tutto ciò che in questi dieci anni di lavoro ho seminato: ho potuto contare sulla collaborazione di professionisti che ho incontrato durante i miei lavori precedenti e che sono stati felici di aiutarmi con le loro conoscenze, quali Dario Arcidiacono per le musiche e Nevio Cavina per le luci.

Ho messo in pratica tutto ciò che ho imparato in quattro anni di tournè da scritturata con Sebastiano Lo Monaco e Gabriele Lavia e ho sperimentato un linguaggio mio.

Ho paura, non lo nego. Ma vado avanti, proprio come avrebbe fatto Rachel.

Quali sono i tuoi prossimi progetti?

Intanto cerco di fare girare Mi chiamo Rachel Corrie il più possibile, nei teatri e nei festival estivi.

Ad Aprile sarò nel cast di Medea di Euripide con la regia di Gabriele Lavia.

Una piccola anticipazione sulla mia prossima produzione ( tra qualche anno direi!): Diario di un black bloc… ma scrivetelo piccolo piccolo e non lo dite troppo in giro!

 

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