A Culiacán, in Messico, è da settimane teatro di scontri sanguinosi tra due fazioni rivali del famigerato cartello di Sinaloa. Questi scontri, che hanno già provocato decine di morti e numerosi feriti, si intensificano con il passare dei giorni. La città, nota per il suo legame con il narcotraffico, vive in uno stato di incertezza e paura, con un impatto significativo sulla vita quotidiana dei cittadini. Negli ultimi giorni, la violenza ha raggiunto nuovi livelli, con sette morti e due persone scomparse nelle ultime 24 ore, aumentando la pressione sulle autorità locali e mettendo in evidenza l’incapacità del governo statale di fermare l’escalation.
Il conflitto ha radici profonde, risalenti ai dissidi interni tra i due principali clan del cartello, i Chapitos, figli di Joaquín “El Chapo” Guzmán, e i sostenitori di Ismael “El Mayo” Zambada, l’altro grande capo del cartello, noto per essere uno degli uomini più potenti del narcotraffico mondiale. Entrambi i boss sono oggi incarcerati negli Stati Uniti, ma le loro figure continuano a esercitare un forte controllo sulle operazioni criminali in Messico. Con l’assenza fisica dei due leader, la lotta per il potere è sfociata in un conflitto aperto che coinvolge bande armate, devastazioni e una crescente insicurezza.
La situazione a Culiacán: violenza inarrestabile
Negli ultimi giorni, la violenza in città è aumentata esponenzialmente. Scontri armati tra i membri delle due fazioni rivali hanno seminato il terrore tra la popolazione. Le strade di Culiacán sono diventate il teatro di raid, agguati e attacchi diretti, con esplosioni e colpi di fucile che risuonano nelle principali arterie cittadine. In particolare, gli scontri hanno visto il coinvolgimento di motociclisti armati che hanno attaccato vari obiettivi, tra cui abitazioni private e attività commerciali.
In aggiunta alla violenza, alcuni episodi hanno avuto un impatto simbolico notevole: una casa è stata data alle fiamme, presumibilmente da un gruppo rivale, mentre diverse telecamere di sicurezza sono state distrutte, impedendo così il monitoraggio degli eventi e rendendo più difficile per le autorità raccogliere prove. La mancanza di controllo da parte delle forze di sicurezza è palpabile, con le forze di polizia locali che appaiono impotenti di fronte alla brutalità dei gruppi armati.
La risposta delle autorità e il ruolo del governatore
Il governatore di Sinaloa, Rubén Rocha Moya, ha cercato di minimizzare la portata degli scontri, definendoli come “episodi di violenza isolati”. Una dichiarazione che ha suscitato indignazione tra la popolazione locale e i media internazionali, che parlano di una situazione ormai fuori controllo. Secondo il quotidiano spagnolo El País, questa strategia di minimizzazione da parte del governatore è in atto dal primo giorno degli scontri, risalenti al 9 settembre scorso.
Le autorità locali, pur riconoscendo la violenza, hanno deciso di mantenere aperte le scuole per chi desidera frequentarle. Tuttavia, in un gesto simbolico di preoccupazione, molte università della città hanno scelto di sospendere le lezioni in presenza, trasferendo le attività didattiche online. Questo ha avuto un impatto diretto sulle routine quotidiane della città, che già soffre di un crescente abbandono sociale e paura diffusa tra i residenti.
La lotta per il controllo del cartello
La violenza a Culiacán è legata a un conflitto più ampio all’interno del cartello di Sinaloa, che da anni è una delle principali organizzazioni criminali attive nel narcotraffico internazionale. Il cartello è noto per il suo controllo delle rotte per il traffico di cocaina, eroina, metanfetamine e altri stupefacenti. Dopo l’arresto di Joaquín “El Chapo” Guzmán nel 2016 e la sua successiva condanna all’ergastolo, il cartello è stato attraversato da una serie di lotte interne per la successione. La figura di El Mayo Zambada, uno dei capi storici dell’organizzazione, ha visto un rafforzamento del suo potere, ma anche la resistenza dei figli di El Chapo, noti come i Chapitos.
I Chapitos, in particolare, hanno cercato di consolidare il loro controllo su Sinaloa e le sue rotte del narcotraffico, ma hanno dovuto affrontare una forte opposizione da parte dei fedeli di Zambada. Questo scontro non è solo una guerra di potere, ma un conflitto che coinvolge anche i gruppi locali che si alleano ora con una fazione ora con l’altra, creando una rete di alleanze che ha ulteriormente complicato la situazione.
Le università e il clima di paura
In questo clima di violenza, le università di Culiacán hanno scelto di chiudere temporaneamente le porte per garantire la sicurezza degli studenti e dei docenti. Le misure di sicurezza nelle istituzioni educative sono state aumentate, con alcuni atenei che hanno deciso di passare alla modalità online per ridurre i rischi di incidenti e rapimenti. Questo riflette un quadro più ampio di instabilità che pervade la vita quotidiana della città e che non risparmia nemmeno le istituzioni educative.
La paura ha preso piede non solo tra gli studenti, ma anche tra i professionisti e i cittadini che si vedono costretti a modificare le proprie abitudini per evitare il coinvolgimento nei conflitti armati. In questo scenario, la popolazione vive un continuo stato di allerta, con la consapevolezza che la violenza potrebbe colpire chiunque in qualsiasi momento.
La crescente ondata di violenza a Culiacán non mostra segni di rallentamento. Il conflitto tra i Chapitos e i sostenitori di El Mayo Zambada è solo uno dei tanti problemi che il Messico deve affrontare nella lotta contro il narcotraffico. Nonostante gli sforzi delle autorità per contenere la situazione, l’impunità e la corruzione diffusa continuano a minare ogni tentativo di ripristinare la pace. L’impressione che l’escalation violenta potrebbe protrarsi ancora per molto tempo è sempre più concreta, con un futuro incerto per la città e per l’intero stato di Sinaloa.