Messi e l’Arabia Saudita, un accordo milionario contro i diritti umani

Messi e l'Arabia Saudita

Uno scoop del New York Times svela il contratto tra il campione argentino Lionel Messi e l’Arabia Saudita: oltre 20 milioni di dollari per sponsorizzare il paese con vacanze e post sui social. Piccolo particolare, non si può parlare delle violazioni dei diritti umani.

Il contratto tra Messi e l’Arabia Saudita

Lionel Messi non ha bisogno di presentazioni. Calciatore senza dubbio tra più forti della storia, se non il migliore, l’argentino ha segnato pagine indelebili nella storia dello sport, vincendo tutto quello che poteva vincere: 4 Champions League, 7 Palloni d’Oro, molteplici campionati nazionali e lo storico Mondiale del 2022 che lo ha consacrato ancora di più, se possibile, agli occhi del popolo argentino.  Nelle scorse settimane il sette volte pallone d’oro ha deciso di lasciare il Paris Saint-Germain, squadra in cui militava, per trasferirsi all’Inter Miami, negli USA, rifiutando la corte di tante altri club interessati, tra cui quelli della Saudi Professional League, il primo campionato dell’Arabia Saudita;  ma anche se è andato altrove, i suoi legami con il paese medio-orientale rimangono più saldi che mai. Leo Messi è infatti da gennaio 2021 sotto contratto con il governo di Ryad  come promoter per il paese.

Il New York Times è riuscito a prendere visione del contratto multimilionario firmato dal calciatore, anche se probabilmente non per intero: questo prevede un compenso  di circa 25 milioni di dollari spalmati in 3 anni per promuovere l’immagine del paese ed esserne testimonial. Nello specifico, Messi è obbligato a fare una vacanza familiare di cinque giorni, o due di tre giorni ciascuna, ogni anno in Arabia, le cui spese di viaggio e soggiorno sono interamente pagate dal governo saudita. Il compenso della vacanza sarà di 2 milioni di dollari. L’argentino deve poi promuovere l’Arabia Saudita sui social, almeno 10 volte l’anno, ricevendo altri 2 milioni di dollari. Ancora 2 milioni di dollari per partecipare alla campagna turistica annuale, ed infine altri 2milioni di dollari qualora Messi dovesse partecipare a opere di beneficenza o apparizioni a favore del governo. Insomma un ricco contratto che stabilisce esattamente quello che il campione deve fare, ma soprattutto quello che non deve: in primis, parlare male del governo di Ryad.

Nel contratto infatti è presente una clausola ben precisa, la quale stabilisce che “la Pulce non possa dire nulla che rovini la reputazione del paese. Nessun riferimento alla pena di morte, alla repressione del dissenso, alle ripetute discriminazioni nei confronti delle donne ed in generale alle consuete violazioni dei diritti umani. Ma in fondo i soldi non comprano tutto, o forse sì?

Diritti umani in Arabia Saudita

Leo Messi non è certo il primo sportivo ingaggiato per “ripulire” l’immagine dell’Arabia Saudita. Prima di lui il fenomeno portoghese Cristiano Ronaldo è stato acquistato dall’Al-Nassr, squadra della capitale, con lo stesso intento di valorizzare il campionato saudita e di rilanciare l’immagine del paese, spostando l’attenzione sullo sport piuttosto che su temi più caldi.

Il governo del principe Mohammed bin Salman non è infatti candido come cerca di apparire. Molteplici sono le violazioni dei diritti umani perpetrate all’interno del territorio saudita, non solo discriminazioni e repressioni del dissenso politico, ma anche uso della pena capitale e sfruttamento dei lavoratori, spesso migranti. Come riporta Amnesty International nel suo rapporto riguardante il paese arabo per il 2022, le autorità hanno spesso preso di mira persone che avevano “esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà di espressione ed associazione”, incarcerando poi le stesse dopo processi controversi e non particolarmente equi. Inoltre i tribunali hanno emesso condanne alla pena di morte al termine di processi gravemente irregolari, anche in casi giudiziari riguardanti persone minorenni all’epoca del reato. Tutto questo va affiancato a condizioni di detenzione al limite della dignità e decenza umana, torture, violenze, rimpatri forzati, traffico di esseri umani e ad una nuova legge che codifica il sistema di tutoraggio maschile.

Il governo di Ryad cerca di mettersi in luce verso gli occhi degli occidentali acquistando stelle del calcio, promuovendo manifestazioni sportive ed ergendosi a patria del lusso sfrenato, il tutto nascondendo le criticità e le violenze di cui è colpevole. Certo, un discorso andrebbe fatto anche nei riguardi di questi sportivi, figure che vogliono spesso mostrarsi come un esempio positivo e che in molti casi lo sono davvero. A livello sportivo non si può contestare assolutamente nulla a Leo Messi, e anche umanamente ha fatto tanto, aprendo fondazioni e numerose campagne di beneficenza a favore dei bambini e delle persone più svantaggiate, specie nella sua Argentina; senza dubbio però stona, e non di poco, questa scelta di appoggiare in silenzio (e per soldi) un governo che di umanitario non ha molto.

Marco Andreoli

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