Se non siete stati su Marte, nell’ultimo periodo dovreste aver sentito parlare di MES. Se ne parla ovunque, i vari Conte, Salvini e Di Maio ogni giorno dicono qualcosa di diverso e la confusione impazza.
Facciamo chiarezza. Il Mes è l’acronimo di Meccanismo Europeo di Stabilità. Si tratta di un’istituzione dell’Unione Europea che ha lo scopo di fornire aiuti ai Paesi in difficoltà economica. Qualche giorno fa, Matteo Salvini ha scatenato la polemica contestando la riforma del Mes. Piccolo problema: la riforma è stata avviata e approvata mentre lui era al governo. Subito in rincorsa sono arrivati i commenti della leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni e del nostro ministro degli Esteri Luigi di Maio. Il Mes secondo questi ultimi, più o meno concordi sul punto, è un opprimente sistema burocratico che limiterà fortemente la libertà dell’Italia. Ma andiamo con ordine.
1. A cosa serve il MES?
Come detto, l’European Stability Mechanism è un ente intergovernativo comune ai Paesi che hanno come moneta l’euro. Per la nostra unione monetaria è fondamentale, perché serve a condividere il denaro che i Paesi versano in una sorta di “cassa comune” e a utilizzarlo per supportare gli stati in difficoltà. L’unione monetaria, infatti, può essere paragonata a una zattera, con tutti i paesi a bordo. Facile capire come l’oscillazione economica di uno di questi passeggeri possa compromettere l’equilibrio degli altri. Il Mes (o Esm, secondo l’acronimo inglese) è stato introdotto nel 2012 in sostituzione di due meccanismi che avevano più o meno lo stesso scopo e che si chiamavano EFSF ed EFSM.
2. Da dove vengono i soldi del MES?
Il Mes può contare su una dotazione di 80 miliardi di euro. Ogni Paese versa in modo proporzionale rispetto alla sua importanza economica una sorta di contributo. Il paese che versa di più è la Germania, che da sola stanzia il 27% del capitale, anche se realisticamente non beneficerà mai degli aiuti.
Inoltre, il Mes emette dei titoli con la garanzia dei vari Stati appartenenti e, in questo modo, può raccogliere fondi sul mercato finanziario, per un ammontare di 700 miliardi di euro.
3. A chi vanno i soldi del MES?
I soldi del Mes vanno agli stati in difficoltà, ad esempio per ricapitalizzare le banche. Se gli Stati in difficoltà rispettano delle condizioni aggiuntive, poi, possono anche ricevere una sorta di aiuto senza limiti da parte della BCE. Quest’ultima interviene tramite l’acquisto senza limiti di titoli di stato del paese in difficoltà, concedendo quindi più liquidità e, auspicabilmente, più respiro economico. Finora a usufruire dei programmi di aiuto del MES sono stati Grecia, Cipro, Portogallo e Irlanda.
4. Una sorta di “prendi i soldi e scappa”?
No. Uno Stato deve sottoporsi a un piano di riforme, la cui attuazione avverrà sotto la sorveglianza della famigerata “Troika”, che molti dipingono come una specie di mostro a tre teste formato da Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Le misure, ça va sans dire, sono solitamente molto contestate dalla popolazione direttamente interessata perché si taglia la spesa pubblica (le prime a essere colpite sono solitamente le pensioni), si privatizza, si liberalizza e si “flessibilizza” il sistema del lavoro, rendendo solitamente i lavoratori meno tutelati. La Troika, quindi, arriva e chiede al Paese di mettere i conti in ordine, con le famigerate manovre “lacrime e sangue”.
5. Se il Mes esiste dal 2012, perché se ne parla proprio ora?
Perché, pur essendo apprezzato da molti per l’idea di solidarietà di fondo tra i vari paesi dell’Eurozona, è sempre stato bersaglio di alcune critiche. Alcuni ritengono che sia uno strumento valido, ma non sufficiente. Le critiche sono di due tipi e potremmo dividerle semplicisticamente in due fazioni:
a. CRITICHE DEGLI INDEBITATI DEL SUD. Gli Stati economicamente più deboli, in generale, attaccano il pesante intervento della Troika, che gli Stati accettano pur di ricevere i soldi del Mes.
b. CRITICHE DEI VIRTUOSI DEL NORD. Gli Stati economicamente più forti, tendenzialmente, dicono che il meccanismo del Mes incentiva gli stati periferici a spendere di più, nella consapevolezza che, comunque, verranno salvati con i soldi dei Paesi virtuosi.
Il Mes, quindi, a destra e a manca, trova dissensi. Perciò, nel 2018 si è iniziato a parlare di riforma.
6. Cosa vuole l’Italia?
Eh, l’Italia, neanche a dirlo, si trova nel primo gruppo, essendo tra gli Stati più indebitati dell’Eurozona. Vorrebbe poter beneficiare delle linee di credito precauzionali erogate dal MES, senza il bisogno di sottoscrivere delle riforme impopolari. Una sorta di “botte piena e moglie ubriaca” all’italiana.
7. A che punto siamo con la riforma di questo Mes, quindi?
Non sono emerse novità nelle ultime ore, ma la polemica si è riaccesa a livello italiano perché fomentata dalle dichiarazioni di Salvini. Inspiegabilmente. Istituzionalmente, l’iter di riforma è iniziato nel giugno 2018 e sia Di Maio sia Salvini erano al governo. Il testo in discussione è stato approvato dai capi di governo, Conte incluso, nel mese di dicembre del 2018. I dettagli, invece, sono stati votati nel giugno 2019 dai ministri dell’Economia dell’Eurozona. Giugno 2019: ancora sotto il governo gialloverde.
Polemiche interne a parte, comunque, la modifica richiesta dall’Italia è stata accolta, ma gli Stati del nord (i più ricchi) hanno chiesto un’altra condizione, che di fatto vanifica la prima. Per l’ottenimento di una linea di credito, ora basterà una lettera d’intenti, ma solo per gli Stati che rispettano i parametri di Maastricht sui loro conti interni. 10 stati su 19 attualmente (Italia compresa) non potrebbero usufruirne.
8. Quindi l’Italia è rimasta fregata?
No. In realtà i Paesi più indebitati l’hanno spuntata nella trattativa sul “backstop” per il Fondo di risoluzione unico. Si tratta di un fondo finanziato in questo caso dalle banche europee per supportare gli istituti finanziari con problemi. Con il “backstop”, questo Fondo potrà essere rimpinguato dal Mes con un finanziamento fino a 55 miliardi. L’obiettivo è di rendere più solide le banche, soprattutto quelle dei paesi più indebitati.
9. Ah, quindi l’Italia ha tutto da guadagnare?
No, c’è ancora una cosa. I Paesi del Nord Europa hanno voluto una terza modifica che non piace all’Italia. Non piace a Salvini, ma nemmeno a Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, né ad Antonio Patuelli, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana. La modifica così contestata punterebbe a “ristrutturare” il debito di un Paese che si rivolga al MES. Qui arriva la nota dolente: i privati che hanno prestato i soldi ai Paesi in difficoltà dovranno perdere una parte del loro investimento, nel momento in cui il Mes erogherà il loro pacchetto di aiuti. Verranno emessi dei titoli di Stato particolari, chiamati “single limb CAC” che permetteranno di ristrutturare il debito, riducendo però il valore del prestito erogato allo Stato.In modo concordato, certo, ma con un solo voto dei creditori. Verrebbero meno quindi le procedure più complesse e garantiste per i creditori relative agli altri titoli di Stato.
10. E quindi?
Quindi, un Paese che usufruisse di questo pacchetto sarebbe tenuto a restituire meno del dovuto ai suoi creditori. Si tratterebbe di una cosa positiva, dal punto di vista del Paese in difficoltà. Non certo per i creditori. Questi ultimi, dunque, potrebbero cercare di tutelarsi, chiedendo interessi più elevati ai paesi con economie più a rischio.
Come l’Italia, per citare un Paese a caso.
Elisa Ghidini