Il mito di Merope è una storia d’amore, di sacrificio, di vergogna, di generosità. Che, contrariamente a quanto potremmo aspettarci, ha sfumature attualissime, che ci riguardano tutti.
Perché mai continui a leggere miti vecchi di millenni? Il mondo è andato avanti! Che cosa credi, di trovare del futuro dentro a dei libri polverosi? Quando parlo della mia passione inesauribile per il mito antico, qualche volta capita che mi senta chiedere questo – più o meno polemicamente. Ci sono molti modi in cui si può rispondere. Stavolta mi piacerebbe farlo a partire dal mito di Merope, la “Pleiade perduta”
La stella perduta del dipinto di William-Adolphe Bouguereau
Per quanto mi piacerebbe, la bellissima espressione ”Pleiade perduta” in riferimento a Merope non è mia. Appartiene, invece, a un pittore francese tardo-ottocentesco della corrente dell’accademismo, William-Adolphe Bouguereau. Correva l’anno 1884 quando questo artista realizzò un olio su tela che raffigurava proprio Merope, dandole precisamente quel titolo, ”L’Etoile Perdue”.
Di quest’opera, che appartiene oggi a un collezionista privato, io ho visto solo una fotografia, restandone tuttavia incantata. Essa raffigura in primo piano una donna che si libra completamente nuda contro un cielo violetto. Dalla pianta dei piedi al capo, il suo corpo disegna un diafano arco perfetto. Le braccia, invece, sollevate sopra la testa con le mani intrecciate, fanno pensare all’abbandono di un risveglio al mattino. Del suo volto, neppure un indizio: lo nasconde contro il braccio destro, così come lunghi capelli rosso fiamma le nascondono il profilo dei seni. Lontane da lei, seminascoste in un cielo caliginoso, danzano altre sei giovani donne ugualmente nude. L’unica differenza è che queste, che raccolte insieme si offrono allo sguardo, portano sul capo la scintilla luminosa di una stella. La figura in primo piano, invece, ne è priva.
Chi è dunque questa giovane donna che occupa da sola un pezzettino oscuro di cielo?, mi è venuto da chiedermi. E qual è la sua storia?
Merope: la stella che per amore rinunciò alla propria luce
La “stella perduta” raffigurata da Bouguereau è Merope, una delle Pleiadi insieme ad Alcione, Celeno, Elettra, Maia, Asterope e Taigete. Nate sul monte Cillene, queste sette fanciulle secondo il mito (o almeno, la versione principale), si legavano alla navigazione. Infatti, mentre il loro padre era il titano Atlante, la madre era la ninfa oceanina Pleione (o Etra), che proteggeva i naviganti. Non a caso, dunque, le sue luminose figlie avevano il compito di aiutare i marinai nella notte ad orientarsi nell’oscurità del mare.
Progenie divina, queste fanciulle si unirono ciascuna con un dio: Merope fu la sola eccezione. La “Pleiade perduta”, infatti, scelse come compagno un mortale. E non un mortale qualunque, bensì Sisifo, l’astuto e spregiudicato fondatore e re di Corinto, che più volte si era attirato addosso l’ira di Zeus. A lui Merope si concesse in sposa, generandogli poi gli eroi Glauco, Ornizione, Almo, Tersandro e Porfirione. Per questo, secondo alcuni narratori per vergogna e secondo altri per aver preferito una vita simile a quella mortale, Merope non brillava più. Invisibile tra le visibili e sfavillanti sorelle, per amore di un mortale insomma Merope divenne la “Pleiade perduta”.
Capire l’amore col mito greco
Di quanto la cultura greca antica potesse essere sagace nel parlare di sentimenti ci si può facilmente rendere conto analizzando le parole per dire l’amore. Ma anche da questo mito, nato attorno al minor bagliore di una stella, si possono trarre riflessioni e domande tutt’altro che inattuali.
Nel mondo odierno non è un mistero che l’imperativo sia quello di splendere a ogni costo. Il successo, l’affermazione di sé, l’esibizione del proprio talento vengono prima di molte cose, non di rado anche delle relazioni affettive. L’idea di attenuare la nostra luce per stare accanto a chi non splende senza ridurlo in cenere ci pare chiaramente assurda. Un amore simile ci sembrerebbe malsano, tossico, poiché ci priverebbe di qualcosa che, ci sembra, ci spetta di diritto.
Merope, però, con il suo rifiuto silenzioso di splendere, ci obbliga invece per un attimo a considerare un’altra prospettiva. Sarebbe, cioè, così sbagliato rinunciare alla nostra immortalità per una vita mortale, magari per una vita mortale accanto a qualcuno cui teniamo? Ossia sarebbe, fuor di metafora, un errore in ogni caso fermarsi, rallentare, attenuarsi per prendersi cura di qualcun altro?
Io credo che non vorrei un’immortalità solitaria, nemmeno se fulgida come quella di una stella nella notte. Ma questa è soltanto la mia personale risposta.
Con il mito greco, del resto, va così: esso non ci aiuta a trovare risposte semplici o univoche. Non è quello il suo compito, come non è in generale quello il compito delle grandi storie. Esse devono renderci più complessi e riflessivi. E devono farlo in modo così sottile che quasi non ci accorgiamo di quel che ci sta accadendo mentre le leggiamo, mentre le ascoltiamo, mentre ci ripensiamo con gli occhi fissi dentro al cielo notturno.