La disinformazione può assumere diversi volti, da quelli più brutali a quelli più invisibili.
Qualunque sia il metodo, il risultato è sempre un’opinione pubblicata manipolata e disorientata.
Con l’inchiesta #Storykillers, si apre il vaso di Pandora della disinformazione
#StoryKillers è un’inchiesta internazionale a più puntate avviata dall’italiano Irpimedia (Investigative Reporting Project Italy) e alla quale hanno partecipato oltre 100 giornalisti di 30 media internazionali (tra i quali: The Guardian, The Observer, Le Monde, The Washington Post, Der Spiegel, ZDF, El Pais e tanti altri).
Questi sono stati affiancati anche da Forbidden Stories, associazione senza scopo di lucro che si occupa di pubblicare il lavoro di giornalisti incarcerati, minacciati o uccisi.
L’obiettivo dell’inchiesta è rivelare tutti i mezzi attraverso cui viene applicata la disinformazione.
Da quelli violenti, come l’omicidio, la tortura o il rapimento; a quelli meno brutali, come la delegittimazione, l’utilizzo di bot, e la diffusione di fake news.
Tutte queste azioni concorrono a inquinare l’opinione pubblica, rendendo impossibile conoscere la verità e, quindi, prendere decisioni consapevoli sulla vita propria e del proprio Paese.
Nell’inchiesta, la disinformazione è dipinta come un “mostro immortale dotato di teste, dalle quali viene iniettato veleno in modi diversi”.
La disinformazione è come un’idra, il velenoso serpente mitologico a più teste: ciascuna corrisponde a un mercenario assoldato per iniettare il veleno nel discorso pubblico, in modi più o meno brutali. È un mostro immortale, che esiste da quando c’è il giornalismo
La censura e la delegittimazione
A volte, per fermare un’informazione, è sufficiente usare tecniche di “censura legale“, come le “querele bavaglio” (molto note in Italia), gli abusi sulle leggi del diritto d’autore e del diritto all’oblio, e la conseguente auto-censura dei giornalisti per non incorrere in pene sproporzionate.
Un’altra strategia, molto più subdola, è quella della delegittimazione.
L’obiettivo è quello di convincere il pubblico che il giornalista in questione sia un pazzo, un criminale, un elemento pericoloso.
Per esempio, quando Daniel Ellsberg, nel 1971, rese pubblici i Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam, il Presidente Nixon diede ordine ai suoi agenti di versare un po’ di LSD nella zuppa di Ellsberg per farlo sembrare uno squilibrato. Il piano, comunque, fallì.
Svaligiarono persino l’ufficio del suo psichiatra, con l’obiettivo di trovare qualcosa che potesse dipingerlo come un pazzo. Ma non trovarono nulla di utile al loro progetto.
Non sempre queste campagne di delegittimazione funzionano.
Per questo, come spiega la dottoressa Emma Bryant, professoressa associata al Center for Financial Reporting and Accountability dell’Università di Cambridge, esperta di propaganda internazionale e information warfare, si passa alle minacce e agli attacchi fisici.
Queste campagne hanno l’obiettivo di distruggere la credibilità dell’interlocutore, e se non puoi distruggerla allora minacci la sua vita
L’omicidio: l’arma finale contro l’informazione
Da sempre, il modo migliore per evitare che una persona diffonda un’informazione è zittirla.
Secondo il report annuale di RSF sulle violenze contro i giornalisti, nel solo 2022 sono stati uccisi 58 giornalisti, di cui l’80% in relazione al proprio lavoro e alle storie a cui stavano lavorando.
Sempre nel 2022, due giornalisti sono stati dichiarati scomparsi. Questi si sommano ad altri 47, di cui si sono perse le tracce a partire dal 2003.
Sono 65, ad oggi, i giornalisti tenuti in ostaggio in diversi Paesi del mondo. Di questi, uno è considerato morto pur non essendone mai stato rinvenuto il corpo.
Infine, nel 2022, risultano 533 i giornalisti detenuti per aver svolto il proprio lavoro. Ma, ad aver ricevuto una regolare condanna, sono solo 194.
Un tasso da record, con il numero di arresti più alto mai registrato da RSF.
In linea con l’anno passato, il 2023 si è aperto con due omicidi e 18 arresti ai danni di giornalisti e media workers.
I mercenari della disinformazione
Non è necessario uccidere un giornalista o farlo scomparire per alimentare la disinformazione e manipolare l’opinione pubblica.
Una delle minacce principali alla libertà dell’informazione è la presenza di monopoli sui bacini d’informazione. Le informazioni online, infatti, vengono gestite principalmente dai tre colossi Google, Meta e Twitter.
Questi, per scegliere cosa presentarci e cosa mettere in evidenza sui nostri schermi, utilizzano gli “algoritmi“, che possono essere facilmente manipolati.
Ma, più in fondo, esiste una vera e propria industria invisibile che si occupa di campagne di manipolazione sui social media.
#Storykillers li chiama “mercenari della disinformazione“.
Secondo un report di Oxford Internet Institute, nel 2020, sono almeno 81 i Paesi i cui governi e partiti politici hanno assoldato tali “mercenari” per influenzare l’esito delle elezioni e ottenere vantaggi politici.
Questa fiorente e redditizia industria (operante anche in Italia) agisce, sotto pagamento, manipolando i risultati di Google e diffondendo fake news sui social media.
Mercenari della disinformazione: il caso Team Jorge
Nella sua inchiesta, #Storykillers ha preso in esame un’azienda in particolare, Demoman, specializzata in questo tipo di servizi.
Le informazioni ottenute dai giornalisti provengono da una fonte interna, che ha scelto di utilizzare l’alias “Team Jorge“.
Jorge, in realtà, è Tal Hanan, amministratore delegato di Demoman, società israeliana specializzata in consulenza per agenzie governative di tutto il mondo su temi come il terrorismo e la sicurezza nazionale.
Hanan è un esperto di antiterrorismo e intelligence, ex membro delle forze speciali dell’esercito israeliano. Allo stesso modo, I membri di Team Jorge sono parte del settore della sicurezza ed ex ufficiali dell’esercito/intelligence israeliano.
I giornalisti di TheMarker, Radio France e Haaretz hanno incontrato di persona i membri del team, registrando il tutto con una telecamera nascosta.
Tra i servizi messi a disposizione dall’azienda ci sono:
- Raccolta di informazioni su concorrenti e oppositori politici
- Pianificazione di strategie politiche, addestramento per personale in grado di produrre contenuti online
- Interferenze nelle elezioni e attività informatiche offensive (ad esempio ottenere dati bancari)
- Smascheramento dell’identità di una persona dietro a un nickname
- Accesso a caselle di posta elettronica private
Demonam, che ha sedi in diversi Paesi Israele, USA, Svizzera, Spagna, Croazia, Messico, Colombia, e Ucraina, offre le proprie capacità in tutto il mondo costantemente.
Nel 2015, Tal Hanan avrebbe persino proposto i suoi servizi a Cambridge Analytica, ma l’accordo non sarebbe mai stato siglato.
Demonam si occupa anche della creazione di articolate ed efficaci campagne di disinformazione.
Per prima cosa raccogliamo informazioni, un po’ dalle fonti aperte e un po’ usando le nostre capacità tecnologiche.
A quel punto bisogna costruire la narrazione in base al nostro obiettivo.
Poi, non rimane che disseminare queste informazioni in modo che tutti le leggano e le conoscano. Il vero potere di queste operazioni, è che sono fatte dietro le quinte:l’altro lato non sa nemmeno che noi ci siamo
Il modo più semplice e veloce per rendere efficace la campagna è la creazione di “bot“.
Uno degli strumenti più utilizzati per questo scopo è la piattaforma AIMS (Advanced Impact Media Solutions), che permette di creare e gestire centinaia di finti profili social indistinguibili da un qualsiasi account autentico.
Sono dotati di un’etnia, una lingua, un set di fotografie (spesso reperite da database online o rubate da altri social), e hanno persino un account Gmail e un numero di telefono verificato.
Gli avatar si comportano esattamente come se fossero utenti umani: lasciano commenti sui social, condividono articoli e video costruiti ad hoc, fanno addirittura acquisti su Amazon.
Solo le piattaforme come Facebook sono in grado di rilevare i bot analizzando alcuni dettagli relativi al tipo di dispositivo, al browser e all’indirizzo IP dell’utente.
In alcuni casi, tuttavia, i bot sono in grado di bypassare tali controlli.
Secondo un’analisi di Forbidden Stories, AIMS avrebbe generato 16 campagne di disinformazione, per un totale di circa 1.750 avatar coinvolti e quasi 110 mila tweet.
Come spiega Team Jorge, il servizio AIMS fa parte di un pacchetto venduto soprattutto ai partiti politici.
In particolare, ne avrebbero usufruito Paesi in Africa, Asia, America Latina e Europa dell’Est.
La nostra competenza principale sono le elezioni, abbiamo completato 33 diverse campagne a livello presidenziale
I contenuti che i bot diffondono sono anch’essi creati dall’azienda attraverso un altro strumento, che crea post su blog appositamente creati, per poi condividere i link con gli avatar.
In questo modo si crea il fenomeno dello “spamming“, che contribuisce alla nascita di trends e hype, e imprime la storia nella memoria dell’opinione pubblica.
Hackeraggio e manipolazione dell’informazione
Se quella dei bot, dal punto di vista legale, è ancora una zona grigia, quella dell’hacking è senza dubbio un’azione illegale.
Secondo Forbidden Stories, i mercenari della disinformazione sarebbero riusciti a entrare in alcuni account personali di posta elettronica e in alcune chat di diversi personaggi politici.
In un’occasione, hanno mostrato di aver avuto accesso diretto agli account Telegram di assistenti nella campagna elettorale del neo-presidente del Kenya, William Ruto.
Tuttavia, non è chiaro come l’azienda abbia compiuto queste operazioni.
Non c’è nessun tipo di intrusione informatica nei dispositivi, non si tratta di spyware, né vengono inviati SMS e email di phishing per carpire le credenziali di accesso.
Per spiegarlo in parole semplici: copiamo l’identità del dispositivo e stabiliamo un collegamento con tutti i server che inviano i dati al dispositivo
La vera efficacia dei mercenari della disinformazione
Ma in che modo riescono queste aziende a rendere le loro tecniche efficaci?
Secondo Nir Grinberg, professore associato al Dipartimento di Software and Information Systems Engineering presso l’Università di Ben-Gurion, la semplice esistenza dei bot è sufficiente a infiltrare il dubbio nell’opinione pubblica.
È possibile che l’impatto più grande delle campagne di disinformazione, come queste, sia nel pretendere di essere estremamente efficaci e spingerci a mettere in dubbio l’autenticità di tutto ciò che vediamo online
Come conclude #StoryKillers, il grande “mostro della disinformazione” è spesso invisibile, anche se ne abbiamo a che fare tutti i giorni, ogni volta che sfogliamo le pagine dei social media.
Ma non si può combattere qualcosa se non si sa della sua esistenza.
Perciò, è importante conoscere e comprendere le armi dei mercenari della disinformazione.
Le teste dell’idra preferiscono essere semplici supposizioni nella testa dei cittadini. aggirarsi nei vicoli più nascosti delle piattaforme online per poi colpire sfruttando proprio quei monopoli digitali che tengono insieme le nostre vite.
Ma rivelare questi meccanismi e puntare l’attenzione sui punti di congiunzione tra le diverse strategie dei mercenari della disinformazione permette di comprendere in anticipo quali sono i pericoli che le nostre democrazie devono affrontare e, forse, evitare che una nuova storia venga lasciata incompiuta.