Abbiamo incontrato virtualmente il fotografo Francesco Merlini che nel 2019 ha realizzato un reportage a Lomé, in Togo, dove si è imbattuto nel più grande mercato vudù del mondo.
Si tratta del marché des féticheurs di Akodessawa. Tra le baracche del mercato vudù si trova qualsiasi cosa, sopratutto parti di animali, come serpenti, cani, gatti, scimmie, pipistrelli e scorpioni, usati per creare i feticci dei rituali e della medicina tradizionale.
Bene Francesco, innanzitutto grazie per essere stato così disponibile. Inizio col chiederti come ti sei imbattuto nel mercato vudù di Akodessawa. E’ stata una scelta mirata?
Beh, diciamo di sì. Prima di partire ho fatto molta ricerca, così da prepararmi al meglio. Su Internet si trovano alcune notizie sul posto e anche TripAdvisor riporta parecchie informazioni. Mi aspettavo, quindi, di trovare molto più turismo di quello che effettivamente è stato. In Togo non c’è molta richiesta. Forse, i turisti preferiscono il Nord dell’Africa. Oltre ad alcuni lavoratori, architetti o operai, anche italiani, che vengono chiamati per migliorare le strade o per costruire ville per ambasciatori e presidenti, di persone bianche in vacanza ce n’erano poche.
Dunque, i togolesi erano stupiti della tua presenza?
Inizialmente sì. Appena arrivato al mercato erano evidentemente incuriositi dal mio lavoro, ma disponibili e felici di far conoscere al resto del mondo le loro usanze. Dopotutto, più turismo non può che fargli bene. In più, la zona del mercato, anche se dislocata dal centro, non è per niente pericolosa. Certo, ci sono dei posti in cui è consigliabile spostarsi con una guida che faccia da intermediario, più che altro per entrare in contatto reciproco, a scanso di equivoci.
Ma in generale come funzione il Vudù?
Non è molto facile spiegare questa religione. E’ un tipo di credo “fluido”, entra in contatto con le culture e le novità e, in qualche modo, le assorbe. In generale, il sacerdote vudù più anziano si chiama sofo. Lui insegna ai figli, e raramente alle figlie, i segreti e le formule del culto e della preparazione di medicinali. I credenti si recano dal sacerdote per chiedere aiuto o per cercare protezione. Lui, attraverso la preparazione di particolari feticci, creati ad hoc per quel fedele, esaudisce le richieste più disparate.
Quindi è una religione positiva? Niente “magia nera”, come siamo portati a credere?
Assolutamente no. Il vudù tradizionale è paragonabile alla magia bianca. I feticci sono creati per dare protezione e fortuna alle persone. Certo, ci sono dei riti e delle usanze a cui noi occidentali non siamo abituati, ma non c’è niente di oscuro in questa tradizione. Probabilmente sono stati i missionari, arrivati a frotte per convertire i fedeli, a dare una cattiva reputazione al credo. Anzi, anche lì le persone hanno paura della stregoneria e spesso i riti servono proprio come protezione. Ad esempio alcuni si tatuano sotto pelle dei simboli proprio per allontanare streghe e stregoni.
Durate la tua permanenza hai assistito a qualche rito in particolare?
Sì, mi è capitato di assistere ad alcune funzioni. Sono rimasto molto colpito da una coppia che è arrivata per chiedere di avere due gemelli. In Togo avere gemelli è considerato un grande privilegio e una grande fortuna. Il sofo ha preso delle conchiglie e una statuetta che raffigurava due persone e con delle litanie ha eseguito il rito.
Sono stato anche al Nord di Lomé, nella giungla, per visitare un santuario.
Che tipo di santuario?
Innanzitutto, per arrivarci ho chiesto il supporto di una guida, così da evitare qualsiasi problema. E’ stata un’esperienza particolare. Il santuario, in pratica, consiste in una radura nel bosco, dove vengono conficcati tanti paletti che servono ai rituali. Su ogni paletto vengono versate delle sostanze, spesso fatte con sangue, profumi e anche coca-cola. Sono andato a comprare anche una gallina viva che serviva come sacrificio alla divinità.
Aspetta un attimo. Coca-cola?!
Sì, esatto. Come ti dicevo, il vudù è una religione “assorbente”. Diciamo che si è modernizzata nel corso del tempo e ha iniziato a utilizzare sostanze molto comuni. Gli stessi profumi, erano normali essenze da supermercato. Infatti ogni rito può variare leggermente a seconda delle zone dove magari c’è stata un’influenza o una dominazione diversa.
E la gallina viva?
L’ho comprata proprio per il rito. Gli è stato spezzato prima il collo, dopodiché il sofo ha versato il sangue sui paletti. Diciamo che non c’è molto “rispetto” per l’animale, così come lo intendiamo noi occidentali, anche perché in quelle zone ci sono ben altri problemi. Dopo il rito la gallina è stata cucinata in modo particolare e mangiata. La povertà di quei posti non permette assolutamente di sprecare carne.
Quindi il sangue è un’ingrediente essenziale. Come mai?
Il sangue per loro serve da ponte tra il modo umano e quello inumano. Mette in contatto con l’aldilà. Devo dire che, a differenza di alcuni riti indiani, in cui in seguito al sacrificio si ringrazia “Madre Natura”, a Lomé non ho riscontrato questo rispetto.
Che tipo di mercanzia c’era sulle bancarelle?
Soprattutto animali seccati, ma anche pietre, erbe, radici e talismani. C’erano anche delle statuette, costruite apposte per essere vendute ai turisti, ma che nel rito non sono di alcuna utilità. Diciamo che il mercato vudù di Akodessawa non è proprio “il più grande”, piuttosto è l’unico esistente. In giro per il Gana, il Ciad o il Benin, dove il vudù è molto praticato, si possono trovare solo poche bancarelle.
In questo particolare mercato vudù hai trovato anche animali vivi?
Si trovano, ma sono pochi. Spesso sono i bracconieri e i cacciatori a portare la merce. Gli animali sono seccati per essere venduti. Gli animali vivi sono sopratutto serpenti, io ho trovato anche un falco e non vengono sacrificati, se non in rari casi. Gli animali usati nei riti sono quelli più “comuni”, come pecore, galline, a volte mucche. Non ho trovato né scimpanzé, né oggetti d’avorio, presi da elefanti o rinoceronti. Anche lì è considerato reato penale cacciare queste specie.
Quindi, tutto ciò che il cinema, e in generale la cultura occidentale, ha trasmesso sul vudù è completamente falso?
Sì, più o meno. Il vudù è nato in Africa, quindi i riti a cui ho assistito io sono quelli “originari”, in cui di negativo non c’è nulla. Ovviamente con il passare del tempo i rituali si sono evoluti, sono cambiati. Il vudù latino-americano è diverso rispetto a quello africano. Quello di Haiti, per esempio, può essere considerato quello un po’ più “simile” a ciò che noi conosciamo, più oscuro. Infatti c’è un legame profondo coi morti.
Cosa ti ha insegnato questa esperienza?
Beh, sicuramente è stata molto istruttiva. In qualche modo ho potuto rendermi conto della “follia”, mi si passi il termine, di alcune credenze e di alcuni fedeli. Ad esempio, mentre ero in visita al mercato vudù, ho conosciuto una famiglia sud-americana di San Diego, in visita in Togo sia per riscoprire le proprie origini, sia per far visitare un loro parente anziano, a quanto pare molto malato, dal sofo. Mi è parso tutto molto strano, quasi surreale. Lì le persone si curano anche con la medicina “canonica”, ma un salto dal sofo è d’obbligo.
Bene Francesco. Sei stato particolarmente esaustivo e disponibile. Ti ringrazio per aver condiviso la tua esperienza. Spero di poterti intervistare per il prossimo progetto.
Grazie a te, alla prossima.
Francesco Merlini è un fotografo italiano nato nel 1986. Le foto di questa intervista fanno parte del suo progetto Akodessawa, realizzato nel 2019.
Antonia Galise