La seconda ondata di contagi investe l’Europa e i Paesi Ue puntano sul remoto. Lavoro e smart working: in Svezia le due cose sono sinonimi
Per i cittadini dell’Europa mediterranea il lavoro da remoto è una novità, contrariamente rispetto a quelli del nord Europa, dove è una realtà già da diverso tempo. Mentre sale ovunque la curva dei contagi, occorre riflettere sul ruolo del lavoro – inteso come mezzo di inclusione sociale – e sulle forme che quest’ultimo va assumendo. Ecco perché dovremmo puntare a ridurre l’orario di lavoro incrementando lo smart working. Lavorare tutti, lavorare meno: un vecchio slogan che – in tempo di pandemia – dovrebbe essere riconsiderato. E il motivo è semplice: per garantire più servizi, una maggiore occupazione e – soprattutto – un efficace distanziamento sociale.
Lavoro e smart working in Svezia
È chiaro che non ci libereremo del covid tanto rapidamente, visto che i tempi necessari per la vaccinazione di massa sono alquanto dilatati. Tuttavia gli strascichi sull’occupazione si protrarranno a lungo e lo smart working resterà diffuso anche dopo la pandemia. Se, tuttavia, alcuni Paesi Ue come l’Italia hanno un basso livello di digitalizzazione – con addirittura 3.5 milioni di famiglie senza connessione internet – altri, come la Svezia, vivono una situazione diametralmente opposta. Qui, dove le misure di contenimento sono state più blande che altrove, il governo ha puntato sullo smart working per ridurre il sovraffollamento cittadino.
Lavorare meglio, meno e (quasi) tutti
La Svezia, come del resto l’Olanda e la Norvegia, rientra tra quei Paesi Ue che hanno abolito il modello delle 40 ore settimanali. Il che significa che il tenore di vita dei lavoratori è migliorato: quest’ultimo, infine, produce una maggior soddisfazione e una maggior produttività nel lavoratore. Emblematico il caso di Microsoft in Giappone: qui la produttività ha subito un’impennata del 40%, conferendo maggior soddisfazione ai dipendenti. E soprattutto una crescita economica dell’azienda, che ha potuto così incrementare le assunzioni. Lo smart working, poi, è apprezzabile anche dal punto di vista dei risparmi: secondo Pier Luigi Celli, ex presidente della Luiss di Roma, il datore di lavoro in questo modo spende meno sull’affitto degli uffici, sull’illuminazione, sul riscaldamento e sulle utenze telefoniche. Quanto ai dipendenti, il lavoro da casa li avvantaggia dal punto di vista delle spese di trasporto e del vitto.
“C’è bisogno di capi illuminati, che smettano di controllare ossessivamente il lavoratore e che si fidino finalmente di lui. In questo modo il dipendente sarà più sereno, meno stressato, renderà di più anche lontano dall’occhio vigile del capo e l’azienda ne guadagnerà. Sono sempre le persone che fanno la differenza” (Pier Luigi Celli)
Quali alternative?
Lo smart working e la riduzione dell’orario di lavoro sembrano – ad alcuni – gli strumenti giusti per affrontare il mondo del lavoro ai tempi del Covid. Certo, la ricetta senza controindicazioni non esiste e alcuni hanno già sollevato dei dubbi in merito al lavoro autonomo. Maggior stress, maggior solitudine e sedentarietà nociva. Va tuttavia considerato il carattere di eccezionalità della situazione: non avevamo previsto il Covid. Non lo avevamo previsto e possiamo solo sperare in una vaccinazione globale entro l’anno prossimo o poco più. Nel frattempo, perché allora non iniziare a ripensare il mondo del lavoro? Gli altri Paesi si stanno già muovendo: la stessa Germania sta pensando di rendere un diritto il lavoro da remoto. E l’Italia, del resto, ha un serio bisogno di investire e di alfabetizzarsi dal punto di vista digitale. Resteremo dentro casa ancora per un po’: perché allora non provare a trasformare la pandemia in un’opportunità?
Francesco Nicolini