La memoria di lavoro o a breve termine ci consente di raccogliere i “dati” necessari per l’esecuzione di un compito. Come ben sappiamo dalla nostra esperienza quotidiana, essa ha i suoi limiti. Tuttavia, ad oggi, le ragioni neurofisiologiche di questi non sono ancora state identificate. Un team di ricerca del Massachusetts Institute of Technology (MIT, Cambridge) ha però tentato di dare una risposta. Questo studio, pubblicato sulla rivista Cerebral Cortex, suggerisce che tali limitazioni potrebbero essere spiegate dalla capacità massima delle reti neurali che costituiscono la connessione tra le diverse zone coinvolte nel cervello.
Una questione di sincronia
Il nostro cervello non può tenere un numero illimitato di dati contemporaneamente. Ciò suggerisce che l’“accoppiamento”, o sincronizzazione, delle onde cerebrali tra 3 diverse aree chiave, crolla in qualche modo verso il basso. Questo accade in situazioni di sovraccarico. Infatti, 3 zone sono coinvolte nella produzione della memoria visiva di lavoro: la corteccia prefrontale, il campo frontale dell’occhio e la zona intraparietale laterale. L’autore principale Earl Miller, professore di neuroscienza presso il Picower Institute del MIT, descrive questo fenomeno come una “perdita di accoppiamento di feedback”. O, per meglio dire, una perdita di sincronia tra le aree coinvolte che non possono più comunicare tra loro per mantenere memoria di lavoro.
Alcune cavie sono state sottoposte a prove di riconoscimento spaziale; i compiti si facevano via via più complessi fino a raggiungere una limitazione e una diafonia tra le aree del cervello mobilitate dalla memoria di lavoro. I ricercatori identificano questa diafonia studiando le onde cerebrali in questi modelli animali e stabilendo così una “carica di punta” oltre la quale “il sistema si rompe”. Così, i ricercatori sono stati in grado di osservare come queste diverse zone lavorano insieme. Un po’ come “in commissione”, senza una vera gerarchia, e così la memoria funziona. Si sono osservati anche i cambiamenti man mano che il carico aumentava e raggiungeva la soglia di sovraccarico.
La capacità della memoria di lavoro è ben limitata: ad esempio, il numero totale di immagini che una persona può conservare in memoria in un determinato momento varia a seconda dei soggetti, ma la media è di appena circa quattro immagini. Inoltre, essa è correlata con l’intelligenza e le diverse prestazioni cognitive, quindi è di fondamentale importanza capire da dove viene il suo limite intrinseco.
Nuove speranze mediche
Alcuni disturbi psichiatrici possono ridurre la memoria a breve termine: studi precedenti hanno dimostrato che il suo carico massimo è inferiore nelle persone con schizofrenia e altri pazienti con malattie e disturbi neurologici o psichiatrici. Comprendere le disfunzioni della segnalazione può aiutare a capire le origini delle carenze cognitive.
Concludono i ricercatori:
“All’apice del carico di memoria di lavoro, i segnali cerebrali che trattengono i ricordi e guidano le azioni basate su queste memorie raggiungono il loro massimo, e al di sopra di quel picco, gli stessi segnali crollano. Se riusciamo a capire come sono organizzati questi ritmi cerebrali, possiamo trovare un modo per rafforzarli quando comincia la caduta”.
Una buona notizia per gli smemorati di tutto il mondo!
Roberto Bovolenta