Meloni, una donna a capo del governo. Vince l’esponente di Fratelli d’Italia, partito di estrema destra. Conquista per il femminismo, o no?
Dal 1946, anno in cui la politica in Italia ha mostrato apertura verso le donne, elargendo loro il voto, la rappresentanza femminile in politica ha fatto piccoli passi e molto lenti. Giunti al 2022, per la prima volta, vince le elezioni una donna: Giorgia Meloni a capo del governo. Eppure, questo risulta essere un grande balzo indietro per le conquiste ottenute in questi anni dalle femministe.
I termini della politica femminista e femminile affermati a partire dagli anni ‘70 ad oggi sono ben lontani dalle convinzioni espresse dalla candidata, vincente, durante l’ultimo mese di campagna elettorale, e anche prima di questo.
Femminismo: pratica di destra o di sinistra?
Pensando alle rivolte femministe, alle occupazioni delle donne italiane dal ‘68, si pensa a piazze rosse, donne che a partire dal socialismo iniziano il loro pensare politico, ai tempi incentrato sul corpo femminile e sui diritti che, la sua affermazione, si porta con sé. Sicuramente il movimento non era, e non è oggi, omogeneo. Le differenze di pensiero, per motivi sociali e culturali, di vissuto probabilmente, erano tuttavia unite in un unico sentimento.
Esistono allora femministe di destra? Questa domanda, per quanto interessante, nella prospettiva di unione in un sentire comune, nella prospettiva di ascolto e sostegno reciproco tra compagne, può essere solo lesiva. Si può, tuttavia, in maniera costruttiva, analizzare il modus gubernandi delle donne al potere.
Una donna a capo del governo con modus gubernandi maschilista
Meloni propone e attua un modo di esercitare il proprio potere che, certamente, femminista non è.
È assolutamente il contrario della pratica femminista di ascolto reciproco, ridicolizzare le istanze per l’ottenimento di diritti dell’individuo, quali il diritto al matrimonio egualitario. Imporre uno modo unico di vivere la famiglia, eterosessuale e con figli nati da questa unione, è negare la libertà di ognuno e ognuna di scegliere per il proprio futuro, è monopolizzare l’affettività.
Non si può di certo ritenere che sia femminista considerare, in maniera paternalistica, persone con disturbi alimentari come “devianze giovanili”, svilendo la difficoltà di analisi di questi, colpevolizzando in questo modo i soggetti, per i quali e le quali è già difficile chiedere aiuto, e affermare che la soluzione sia controllare i giovani attraverso lo sport. Anzi, richiama memorie di un passato nero che la nostra Costituzione contrasta.
Infine, non tiene assolutamente conto delle richieste per cui le donne italiane manifestano in piazza, affermare il “diritto a non abortire”, contestualizzato in un Paese in cui la percentuale di medici obiettori di coscienza è alta (70%).
Questo dimostra quanto la struttura patriarcale della società e la visione maschilista del mondo, siano incarnate nel fare politico populista e capitalista. Ma soprattutto ci mette davanti ad una verità, dolorosa: quanto l’agire e il pensare politico maschile sia diventato proprio anche delle donne, quanto le reti di collaborazione e ascolto delle compagne siano state spezzate da piramidi, quanto le bandiere alzate per la pace e la libertà individuale siano state spazzate dalla violenza.