“Meglio sporco che in rosa”: Con queste parole una madre di Chivasso ha accusato le maestre dell’asilo di distorcere l’identità di genere del figlio facendogli indossare pantaloni rosa.
Il 7 dicembre un bambino della scuola dell’infanzia Peter Pan non è riuscito a trattenere la pipì. Una cosa normale in un asilo. Il piccolo ha così sporcato uno dopo l’altro tutti i cambi che aveva a disposizione. Quando non c’erano più vestiti puliti nel suo armadietto, le maestre hanno attinto all’armadio di emergenza, che contiene abiti a disposizione dell’istituto proprio per casi d’emergenza simili. Problema: gli unici pantaloni e le uniche mutandine della taglia del bambino erano rosa. Le insegnanti non hanno avuto dubbi. Meglio vestirlo di rosa per le poche ore mancanti alla fine delle lezioni, piuttosto che lasciarlo sporco. La madre però la pensava diversamente.
La lettera
Il lunedì successivo infatti la donna si è presentata all’asilo con un foglietto. Nel testo accusa le maestre per i vestiti che hanno dato al figlio. In particolare si legge: ” Vi ringrazio per i pantaloni rosa e le mutandine che avete imprestato al bambino, dopo aver esaurito la scorta. Però le norme sociali non le abbiamo fatte noi”.
La madre si riferisce alle norme sociali per cui il rosa è un colore che solo le bambine possono indossare. Mentre i maschietti dovrebbero scegliere colori più scuri, come il classico blu.
In particolare secondo i genitori i vestiti rosa avrebbero messo a rischio l’identità di genere del figlio. Il bigliettino infatti prosegue così: “Lo preferivamo pisciato, che sappiamo asciuga, a vestito da femmina e con le idee sull’identità di genere in conflitto”.
L’asilo
Angelantonio Magarelli, il dirigente scolastico, nello scontro con la madre ha difeso le insegnanti dell’istituto, che secondo lui “hanno agito con buon senso”. Ha inoltre sottolineato l’importanza di fermare gli stereotipi e modi di pensare antiquati che sono venuti a galla nella vicenda. Se non si agisse in tal senso, si alimenterebbero “idee distorte legate al modo di vestire o pensare”.
Per quanto la vicenda sembri un caso isolato, in realtà la mentalità per cui il rosa è da femmine e per cui è disdicevole per un maschio indossarlo è ancora ben presente in Italia e ha radici profonde.
Giulia Dardano