La professione del medico è sicuramente tra i mestieri più importanti, di certo anche tra i più delicati, sofisticati e difficili da svolgere. Preoccupano, infatti, i dati inerenti un sondaggio condotto dal principale sindacato dei medici. Dai risultati di questo sondaggio emerge chiaramente che oggi il medico non svolge la sua professione in un contesto affabile, bensì in mezzo a sovraccarichi di lavoro, mancanza di personale, carenza di strutture e strumenti. Il 46% dei medici non si vede a lavorare negli ospedali pubblici nei prossimi due anni, questo è un rischio per la tenuta di tutto il sistema.
I medici non stanno più bene negli ospedali pubblici
Un sondaggio del principale sindacato dei medici ospedalieri, Anaao Assomed, ha rivelato l’insoddisfazione regnante nella categoria dei medici. Ben il 46% dei medici lascerebbe volentieri gli ospedali pubblici nell’arco dei prossimi due anni. Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, fa notare che l’insoddisfazione dei medici, la loro tentazione di passare al privato, di trovare altre vie all’estero, di pensionarsi in anticipo, potrebbe essere un sintomo non solo del fallimento sanitario, ma del fallimento di tutto il sistema. Anelli spiega che le colpe non sono certe da imputare al contesto pandemico degli ultimi tempi, piuttosto ai tagli che di anno in anno non si sono mai fatti mancare per la sanità:
la pandemia ha solo amplificato carenze e zone grigie che erano già in atto, frutto di decenni di tagli lineari
Ore di straordinario non retribuite, carenza di personale, di posti letto. Anche sul piano edilizio tante strutture ospedaliere presentano carenze di non poco conto. Eppure tutto questo non ha scoraggiato i medici, che hanno continuato imperterriti a svolgere il loro lavoro. Per questo, secondo Anelli, ora bisogna ripartire e ricostruire:
adeguando finalmente le loro retribuzioni – e le loro condizioni di lavoro – agli standard europei e coinvolgendoli nei processi decisionali
Come schiacciati da una macchina che esige troppo
Forse non basta chiamare i medici eroi, né postare e far girare immagini, sui social e in TV, di operatori sanitari stremati. Non basta, se si considera che il 75% dei medici dichiara che il proprio lavoro non sia stato valorizzato a dovere durante la pandemia. Sono tre medici su quattro che dichiarano di non sentirsi apprezzati, soddisfatti, del proprio lavoro negli ospedali pubblici. E’ certo che la pandemia ha fatto luce su crepe solcate da tempo nel nostro sistema sanitario. Crepe che l’Anaao spiega in questo modo:
I medici ospedalieri, come anche i dirigenti sanitari, si sentono schiacciati da una macchina che esige troppo e che nemmeno ascolta la loro voce, svalutati e frustrati da un’organizzazione del lavoro che non sembra avere tra le priorità i loro bisogni e le loro necessità, sia come lavoratori che come persone. È ormai chiaro che il perseguimento della sola efficienza, misurata guardando ai bilanci e agli indicatori numerici e perseguita attraverso progressive riduzioni delle risorse disponibili, è un nemico della resilienza del sistema nel suo insieme
Ripartire vuol dire oggi soprattutto non dimenticarsi. Perché se dimentichiamo gli sforzi immani compiuti da medici e operatori sanitari negli ospedali pubblici, questa pandemia ci ucciderà nella memoria. E credo non ci sia modo migliore di ricordarsi, se non intervenendo sulle strutture sanitarie pubbliche e per un’adeguata condizione lavorativa di medici e personale sanitario.
Gabino Alfonso