Mancano medici e infermieri cubani nei paesi latinoamericani. Colpa di Bolsonaro e Trump.
Anche l’America Latina continua la sua battaglia contro la pandemia di coronavirus. Il Brasile resta il Paese più colpito con oltre cinque milioni di positivi e 158 mila decessi. L’andamento dei contagi è rapido e incontrollato da oltre cinque mesi. La pandemia non dà tregua né alla popolazione, soprattutto ai residenti più poveri delle metropoli, né agli operatori sanitari, costretti a vincere una battaglia che sembra sempre più lunga.
Cuba che, come ogni angolo del mondo ha dovuto fronteggiare un’ ondata di contagi, conta quasi 6 mila casi positivi dall’inizio della pandemia, circa la metà invece le guarigioni. Il dato sorprendente è il numero dei decessi: 123. Uno dei più contenuti a livello globale.
Il filo rosso che collega Rio de Janeiro all’Havana
Non è nato con l’emergenza Covid-19. La maggior parte dei paesi latinoamericani non ha un servizio sanitario adeguato ed efficiente, l’accesso alle cure è limitato, le strutture e il personale carenti, gli ospedali nei grandi agglomerati urbani fatiscenti, le condizioni igienico-sanitarie precarie. L’alta densità abitativa e la povertà sono fattori che da sempre contribuiscono al diffondersi delle malattie infettive nel continente. La SarsCov2 ha trovato terreno fertile in cui proliferare.
L’Organizzazione mondiale panamericana (Oms) monitora ogni anno il funzionamento del sistema sanitario dei paesi latinoamericani. Da anni è a conoscenza delle attività delle migliaia di medici e infermieri inviati da Cuba in Brasile, El Salvador, Ecuador e altri Stati latinoamericani. Specializzati nella cura delle malattie infettive, questi operatori sanitari sopperiscono all’assenza o carenza di assistenza sanitaria nelle aree più povere e inaccessibili dell’America Latina. L’Havana lo definisce “un programma umanitario”. Motivo di vanto e orgoglio per il Paese, i medici e gli infermieri cubani hanno operato anche in Italia, durante la prima ondata di contagi quando le terapie intensive, gli ospedali e le rsa erano al collasso.
Brasile e Stati Uniti contro Cuba. Il caso dell’Ecuador
A Cuba un medico o un infermiere specializzato percepisce circa 50 dollari al mese di stipendio. Briciole se paragonate alle retribuzioni che ricevono in altri paesi latinoamericani. Salari dieci, venti volte più alti. Dall’inizio della pandemia oltre dieci mila tra medici e infermieri cubani sono stati costretti a lasciare l’America Latina. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro e l’inquilino della Casa Bianca Donald Trump accusano l’Havana di «schiavitù» e «traffico di esseri umani». Per i due alleati Cuba chiederebbe ai paesi latinoamericani compensi più alti per i medici e gli infermieri, trattenendosi una cospicua percentuale dei loro guadagni.
A risentire della politica anti-cubana i paesi più poveri dell’America Latina. In Ecuador , per esempio, gli effetti sono già tangibili camminando tra le strade della capitale e nelle aree rurali del Sud Est. Guayaquil è un porto circondato da pendii ricoperti da slum. I luoghi dove i tassi di contagiosità e di decessi da Covid-19 sono altissimi. Mancano assistenza sanitaria, strutture, strumenti per testare i positivi e personale sanitario preparato. I corpi di chi non è sopravvissuto al nuovo virus iniziano ad ammassarsi per le strade.
Bella Lamilla, 70 anni, è arrivata in Ecuador dalla Spagna per visitare la famiglia nella città natale. Pochi giorni dopo il suo arrivo, il 15 febbraio, Lamilla sviluppa una grave polmonite. L’Ecuador è sprovvisto di ambulatori e non è tutt’ora in grado di garantire il tracciamento. I familiari di Lamilla allarmati si rivolgono a una clinica privata dove lavora il dottor Aléman, l’ex ministro della Salute.
A Lamilla viene prelevato un campione di sangue inviato poi al centro per il controllo delle malattie di Atlanta negli Stati Uniti. La donna diventa così il primo caso di Covid-19 dell’Ecuador. Trascorse due settimane, le terapie intensive della città di Guayaquil sono al collasso. I medici si rivolgono subito all’Oms per chiedere personale e strutture.
Il taglio ai fondi dell’Oms panamericana e la cacciata del personale sanitario cubano
Nel 2018 Donald Trump inizia a ostacolare l’attività dei medici e degli infermieri cubani nei paesi latinoamericani. Prima del suo arrivo alla Casa Bianca, gli Stati Uniti non hanno mai posto un veto al “programma umanitario” promosso dall’Havana, con l’appoggio dell’Oms panamericana. Per gli Stati Uniti difendere dalle malattie infettive i paesi latinoamericani, offrendo loro l’assistenza dei medici e degli infermieri cubani, significa proteggere il Paese, soprattutto, con l’aumento dei flussi migratori.
Ma Trump sceglie di marciare controcorrente. Assieme all’alleato Jair Bolsonaro congela migliaia di dollari destinati all’Oms panamericana, iniziando una martellante campagna contro la rete di medici e infermieri cubani che operano nel continente. Prima ancora di essere eletto, Bolsonaro annuncia l’espulsione di otto mila operatori sanitari cubani dal Brasile. Cinque anni prima, il predecessore Luìz Inacio Lula da Silva chiede aiuto a 60 mila medici e infermieri dell’Havana per offrire assistenza sanitaria alle piccole e remote comunità dell’Amazzonia. Allora né l’Oms né l’amministrazione Obama sollevano obiezioni.
Il presidente Bolsonaro, con l’aiuto di Donald Trump, continua ad autorizzare l’uso della idrossiclorochina negli ospedali – l’antimalarico che il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie americano (CDC) ha dichiarato mesi fa inefficace contro il Covid-19. Illudendo la popolazione, il “Trump dei Tropici” si ostina a lasciare il Brasile in balìa del nuovo virus.
Il presidente americano continua a diffondere l’idea che sia Cuba a costringere i medici e gli infermieri a lavorare nei paesi latinoamericani, trattati come schiavi di una intollerabile dittatura comunista. Un approccio ostile che vanifica il riavvicinamento tra Havana e Washington che l’amministrazione Obama auspicava. In Florida, swing State o Stato in bilico, Trump spera di ottenere il voto degli elettori americani di origini cubane, da sempre critici nei confronti dell’Havana.
Due pesi due misure. Nel frattempo come mai oggi in America Latina si muore. Privati del diritto alla salute.
Chiara Colangelo