Media italiani e crisi climatica: le aziende fossili contaminano l’informazione

I  principali media italiani parlano di crisi climatica, ma non a sufficienza e con la dovuta chiarezza.  Al contrario, viene dato ampio spazio alle pubblicità delle aziende inquinanti, che pare abbiano un forte appeal  sulla stampa. È quanto emerge dallo studio commissionato da Greenpeace e realizzato dall’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione, che ha esaminato gli articoli pubblicati fra gennaio e aprile 2022 dai cinque quotidiani più diffusi: Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa. 

Media italiani e crisi climatica: la questione è “quanto” e “come” se ne parla 

Greenpeace ha elaborato una classifica valutando cinque parametri: lo spazio dedicato alla crisi climatica, se i combustibili fossili vengono citati tra le cause, quanta voce hanno le aziende più inquinanti, quanto spazio viene concesso alle loro pubblicità, se le redazioni sono trasparenti rispetto ai finanziamenti ricevuti dalle aziende più inquinanti.

I risultati emersi  mostrano che i principali quotidiani italiani dedicano in media solo due articoli al giorno alla crisi climatica, di cui solo la metà approfondisce esplicitamente la questione.

media italiani
La “Classifica degli Intrappolati”elaborata dall’Osservatorio di Pavia e Greenpeace. Considerando la media dei cinque parametri,  Avvenire raggiunge la sufficienza (tre punti su cinque), bassi invece i punteggi di Corriere e Repubblica (2,2 su 5), mentre agli ultimi posti si trovano La Stampa e Il Sole 24 Ore (2 su 5). La classifica sarà aggiornata e pubblicata ogni quattro mesi .- © Greenpeace




Il problema non riguarda solo “quanto” se ne parli, ma anche il “come”:  negli articoli esaminati, le aziende private sono il soggetto ad aver più voce in capitolo (18,3%), superando il parere degli esperti (14,5%) e le associazioni ambientaliste (11,3%). Inoltre la crisi climatica viene principalmente raccontata come un tema economico (45,3% degli articoli), a seguire come un tema politico (25,2%) e solo in misura minore come un problema ambientale (13,4%) e sociale (11,4%).

Questo studio dimostra la pericolosa influenza esercitata dalle aziende inquinanti sulla stampa italiana, basti pensare che in quattro mesi, nei 528 articoli esaminati, le compagnie petrolifere sono indicate tra i responsabili della crisi climatica appena due volte – Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.

La dipendenza dei media italiani dai finanziamenti delle aziende inquinanti

La lista viene nominata la “Classifica degli Intrappolati” e riflette la sempre maggior dipendenza dei media dai ricavi generati dalla pubblicità, in uno scenario nel quale le compagnie che dominano il mercato,  dettano le regole del futuro del giornalismo. Così, grazie alle loro generose pubblicità, che spesso non sono altro che ingannevole greenwashing, le aziende del gas e del petrolio inquinano anche il dibattito pubblico e il sistema dell’informazione, impedendo a lettori e lettrici di conoscere la gravità e le vere ragioni dell’emergenza ambientale che stiamo vivendo.

“Se vogliamo preservare la libertà di stampa e consentire a cittadine e cittadini di conoscere la verità sulla crisi climatica, dobbiamo rompere il patto di potere che incatena i mass media all’industria dei combustibili fossili” – avverte Greenpeace, che, insieme a più di trenta organizzazione internazionali, sostiene l’ Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE).  Se entro ottobre 2022 la petizione Stop alla pubblicità delle aziende inquinanti aggiungerà il traguardo di un milione di firme raccolte, la Commissione europea sarà obbligata a discutere una proposta di legge per mettere fine alla propaganda ingannevole delle aziende inquinanti che alimentano la crisi climatica. Anche in Italia.

 

Fabio Lovati

 

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