May-Day da Londra all’Europa

Quella che segue è una specie di favola molto istruttiva, e molto penosa: la storia di come anche il più abile dei giocatori possa finire nella trappola dei propri stessi trucchi.

Per circa mezzo millennio infatti le isole britanniche hanno espresso una potenza fondata, in primo luogo, sull’insularità e sulla proiezione oceanica. La collocazione geografica è stata valorizzata dagli inglesi, e anche dagli scozzesi, come occasione per svincolarsi dai limiti che le altre potenze dovevano affrontare come temere costantemente i nemici ai confini o un minor numero di sbocchi alle vie di commercio oceaniche.

La Gran Bretagna era un’isola quindi: senza confini.

Non isolata, ma campionessa mondiale e Padrona dei Sette Mari.

Un paradosso su cui costruire una storia di successo, in ossequio alla nota formula di Toynbee: challenge and response.

E’ significativo al massimo grado il fatto che adesso la politica di Londra risulti incagliata proprio sulla questione del backstop: in sostanza il confine fra l’Irlanda che rimane nella Ue, e l’Irlanda del Nord britannica che ne dovrebbe uscire.

Nell’epoca dell’immaterialità e della fluttuazioni perenni, la scabrosa questione di un confine terreno si rivela insormontabile.

La crisi di Londra e l’Europa

Il governo di Theresa May fronteggia un vero dilemma amletico: o mantiene intatta l’unita entro i propri confini, ma allora deve ripristinare il confine fra le due Irlande (e quindi correre il rischio di una nuova guerra civile) oppure deve accettare che un pezzo del suo territorio rimanga “più di là che di qua”, unito all’Irlanda che rimane nell’Ue e quindi con un regime differente dal resto del Paese.

Dalla vocazione marinaresca, sia commerciale che corsara e piratesca, l’Inghilterra aveva sviluppato una vera e propria filosofia geopolitica, cioè una peculiare maniera di stare al mondo.

Da Londra si è diramata nei secoli una capacità di agire aldilà dei confini concreti, geografici e materiali, simboleggiata dalla bandiera dell’Union Jack portata in ogni angolo del mondo.

Se l’Isola e la sua popolazione erano relativamente piccole e deboli, poco contava di fronte alla capacità di tirare una fitta rete di rotte, scambi e relazioni commerciali e diplomatiche da una capo all’altro della Terra.

O meglio: degli oceani.

Questa è stata la “strategia di Leviatano” : essere dappertutto e mai in un posto preciso – consistere più in quella rete transoceanica che in una entità massiccia e ben delimitata.

Essere oltre tutti i confini: questo è stato essere britannici, questo è stato il potere di Londra.

Non a caso, molto per tempo dall’impero commerciale è sorto l’impero finanziario: e pensiamo a come questa strategia abbia consentito a un pugno di avventurieri di lingua inglese di conquistare l’India.

La rivoluzione industriale è stata la conseguenza di quella commerciale e finanziaria – oltre che dell’intraprendenza di un popolo che seppe primeggiare.

E quando anche quella fase era ormai svanita del tutto, insieme al colonialismo territoriale, Londra ha inventato, guarda un po’, il web: la rete delle reti, la ragnatela immateriale (per la verità fino a un certo punto!) che ha rappresentato l’evoluzione di quella rete di navigazioni e alleanze di potere che aveva rappresentato l’autentica infrastruttura del potere britannico – e forse la prima infrastruttura di ciò che chiamiamo globalizzazione, ovverosia l’unificazione stessa del globo.

Tutto questo è stato accompagnato da uno sfrenato e mirabile sviluppo del capitalismo finanziario, grazie al quale Londra e la City, ancor più che gli Usa e Wall Street, hanno impresso il proprio marchio, il marchio del Leviatano, sul mondo intero, caratterizzando il passaggio fra XX e XXI secolo.

Come mille altre volte, Londra è riuscita ad essere “dappertutto e in nessun luogo”: a fare centro ovunque e da nessuna parte – visto che il miglio quadrato della City, in definitiva, è il Mondo stesso che si è fatto una sola metropoli – come la Coruscant dei film di Guerre Stellari.

Ma chi era Leviatano?

Racconta la Bibbia di creature mitologiche e metaforiche, simboli di forze cosmiche, immense e strapotenti come Behemot e Leviatano. Nella lettura che discende principalmente da Hobbes e da Schmitt, queste creature assumono un valore filosofico preciso: quando il caos, l’ottusità, la pesantezza senza speranza del mostro-Behemot si fecero avanti sul palcoscenico del Creato, trovarono ad affrontarlo Leviatano, il drago marino, colui che era la fluttuazione stessa, l’intuito, l’intelligenza, il lògos insomma.

Leviatano, piccolo e fragile, seppe avvolgersi a spirale intorno al lento e corpulento Behemot, fino a stritolarlo lentamente e soggiogarlo.

Secondo questa concezione, Leviatano rappresenta la forza basata sul controllo del Mare e delle vie di comunicazione, che strangola la Terra e tutto ciò che si basa su di essa e sull’essere saldamente legata ad essa.

E oggi?

La Gran Bretagna da quarant’anni faceva parte della Ue – e non ne faceva parte.

Godeva dei vantaggi del mercato comune, del far parte di una grande forza continentale ricca e civilizzata – e rimaneva fuori da Schengen, dall’Euro – e continuava a guidare a sinistra.

A guardare aldilà dell’Atlantico, amletica principessa oltre la Manica.

Era sia dentro che fuori – era tutto e il suo contrario.

Così, a dispetto di tutto, un popolo numeroso come una provincia cinese continuava a capeggiare la politica mondiale.

Questo ha portato una ricchezza straordinaria : ma forse anche troppa ingordigia, perché tale ricchezza è stata mal distribuita, e male assortita con altri valori che pure contano nella vita, come il senso della propria identità, e del proprio ruolo sociale, come individui e come collettività.

Venne quindi l’ora della ribellione per la ribellione, venne l’ora della Brexit, nel 2016.

Ma quale Brexit?

Londra a quanto pare era convinta, sulla scorta di secoli di esperienza, di potersi permettere di dettar legge, che vuol dir proprio essere al di sopra della legge e di continuare a star dentro e fuori. Cioè svincolarsi dalla Ue, ma godere anche di speciali relazioni commerciali e finanziarie, come l’accesso al più grande mercato del mondo, senza più versar contributi né sottostare a regole di sorta.

Ma l’unica lezione che la storia può insegnare è che essa è ingannevole: il passato non va semplicemente conosciuto, ma interpretato, come un’oracolo dell’I-King.

Il ruolo storico di Londra, quello che le ha garantito gloria potere e ricchezze, era quello di spalancare le frontiere planetarie, rompere le catene dei continenti, e mettere in contatto culture e industrie.

La Brexit, nella distorta visione di pseudo-storici come l’ex ministro degli esteri, e cultore di storia romana, come Boris Johnson, doveva fare la Gran Bretagna “great again”.

Doveva essere la premessa a un ritorno dell’Impero.

Ma se Londra vuole solo ristabilire confini e limiti, e tornare per la prima volta indietro, la Brexit si può tradurre solo come : “Little Britain”.

Un rimpicciolimento, di più : un rinsecchimento.

Dalla Grande Londra alla Londra avvizzita e vetusta.

Un po’ un destino di decadenza, di abdicazione ad un ruolo secolare, analogo a quanto capitò proprio alla Roma imperiale.

Londra e l’Europa: un destino tradito?

Borges una volta ha scritto dell’Inghilterra eroica sempre pronta “ a combattere la ciclica battaglia di Waterloo”, contro ogni minaccia portata da un potere tanto mastodontico quanto primitivo e nemico del progresso umano.

Quello era il destino manifesto di Londra : rinunciarvi è un po’ come rinunciare a difendere il Castello del Re, come succede a certi emblematici personaggi, sonnambuli e scoraggiati, del Signore degli Anelli.

Nella sua cocciutaggine, che è la versione negativa della proverbiale tempra e resistenza inglese, Theresa May sembra una raffigurazione di simili personaggi.

E se per 500 anni Leviatano ha lanciato e stretto le sue spire intorno a Behemot (che poi è proprio il Mondo, è proprio la nostra Terra) oggi sembra che esso stia finendo stritolato nella propria stessa tentacolare trama.

 

Alessio Esposito
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