Stato italiano vittima di una maxi truffa aggravata per la cifra astronomica di 56 milioni. La sentenza è arrivata nella giornata di ieri.
Vi ricordate di Umberto Bossi? Colui che avevo reso la canottiera macchiata di sugo una divisa politica prima che qualcuno la sostituisse con la felpetta. Colui che aveva il carrarmato nel garage pronto per la marcia su Roma prima che, sempre quel qualcuno, lo barattasse con una ruspa per la marcia sui campi Rom. Lo sapevo che l’avreste ricordato, certi figuri è difficile scordarseli. No, non è tornato a far parlare di sé per le sue perle politiche. La notizia che lo riguarda è la condanna, comminata ieri, a due anni e sei mesi di reclusione.
“Truffa aggravata” per un valore complessivo di 56 milioni di euro è infatti la colpa che ieri è stato riconosciuta al “senatur” e al suo segretario amministrativo Belsito, quest’ultimo condannato a quattro anni e dieci mesi. Tra gli altri condannati ci sono anche gli ex revisori contabili del partito e i due imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet. Per questi ultimi e Belsito si aggiunge anche l’accusa di riciclaggio per aver portato del denaro sporco oltre i confini italiani, più precisamente in Tanzania e Cipro. L’accusa è certa che i soldi inviati in Tanzania non erano un modo per “aiutarli a casa loro”.
L’inchiesta ebbe inizio nel 2010 e fu ribattezzata “The Family”, nome dovuto all’etichettatura di una cartella rinvenuta nell’ufficio di Belsito.
Per l’accusa, nel periodo tra il 2008 e il 2010, sarebbero stati presentati al parlamento dei falsi rendiconti con lo scopo di ottenere in modo indebito fondi pubblici. Per questo motivo oltre alla sentenza di condanna per il duo Bossi-Belsito, i Diabolik ed Eva Kant della Padania (vi sconsiglio d’immaginarvi Belsito con la parrucca bionda e il vestito attillato nero, specie se in orario pasti), è stata anche disposta la confisca di 48 milioni di euro al carroccio. Duro colpo anche per Salvini che si trova costretto a risparmiare sulle ruspe.
Parte dei soldi ottenuti con i falsi rendiconti veniva utilizzata per le spese personali dalla famiglia Bossi che si arricchiva così alle spalle e ai danni dei seguaci che inneggiavano il “senatore”, in quel di Pontida, a eroe secessionista, puro e limpido come le acque del Po. Fiume che in realtà è raramente limpido e questo poteva essere già un indizio.
“Roma ladrona” era il motto urlato da Bossi e soci qualche anno fa. La stessa Roma che, stando alla sentenza di ieri, è stata saccheggiata proprio dal “senatur”. Ora per i condannati e per il carroccio non resta che sperare in una sentenza di assoluzione in cassazione che al momento sembra davvero improbabile.
Christian Gusmeroli