Quando Cosa Nostra in Italia colpiva con più ferocia, Maurizio Costanzo contro la mafia aveva deciso di prendere posizione. L’amicizia con Giovanni Falcone e le puntate dedicate alla lotta a Cosa Nostra non erano ben gradite ai Corleonesi: nel 1993 a Roma in via Fauro un attentato quasi lo uccise.
Maurizio Costanzo, scomparso venerdì 24 febbraio all’età di 84 anni, ha speso gran parte della sua vita nel mondo dello spettacolo e dell’informazione. Ha lavorato come giornalista, conduttore radiofonico e soprattutto televisivo, prima in Rai e poi, dal 1980, in Mediaset (ex Fininvest). Su Canale 5 ha condotto e ideato il suo format più noto, il Maurizio Costanzo Show, liberamente ispirato ai “late night” americani. Tutti conoscono la sua figura di show man ma forse non è a tutti noto l’impegno di Maurizio Costanzo contro la mafia.
Costanzo ha raccontato l’Italia per più di cinquant’anni, anche attraverso le fasi di transizione più difficili. Tra queste, gli anni dello stragismo di stampo mafioso hanno toccato da vicino la vita dello stesso conduttore televisivo. Nei primi anni ’90 Costanzo aveva dedicato molte puntate del suo programma al tema della mafia e alla lotta contro Cosa Nostra e aveva invitato spesso a parlare il giudice Giovanni Falcone, suo amico, assassinato nel 1992. Questa chiara presa di posizione non era stata digerita da Cosa Nostra, che infatti tentò di eliminarlo nel 1993.
La presa di posizione in televisione contro la mafia
“Mafia made in Italy”, questa era la scritta stampata su una maglietta bianca che Costanzo, sotto gli sguardi attenti di Michele Santoro e Giovanni Falcone, aveva bruciato in diretta tv. Un gesto essenzialmente simbolico, dai toni più aspri di quelli normalmente utilizzati sui canali Mediaset. Un’azione dal forte impatto visivo che esplicitava una chiara presa di posizione e la condivisa consapevolezza che tacere significa schierarsi con loro.
Il 20 settembre 1991 Michele Santoro e Maurizio Costanzo organizzarono una serata a reti unificate (Rai-Mediaset) dedicata al tema mafioso. Era stato da poco assassinato a Palermo Libero Grassi, imprenditore di Catania attivo nel settore tessile che si era opposto al pagamento del pizzo imposto da Cosa Nostra e aveva denunciato i suoi estorsori. Grassi era stato ospite, nell’aprile ’91, proprio di Santoro nella trasmissione Samarcanda, dove aveva dichiarato: “Io non sono pazzo, non mi piace pagare, è una rinunzia alla mia di dignità di imprenditore”.
L’amicizia tra Maurizio Costanzo e Giovanni Falcone
Proprio la vicinanza e l’amicizia con il magistrato palermitano furono con tutta probabilità il motore dell’impegno di Costanzo in questa battaglia. La ferma convinzione nella causa di Falcone e la sua capacità di trasmettere la propria sensibilità avevano fatto sì che Costanzo lo invitasse più volte come ospite nella sua trasmissione.
Questo ricorderà di lui Costanzo più avanti:
Innanzitutto la sua aria serafica e anche molto ironica. Era nel suo modo di osservare me e gli altri, nel suo modo di rispondere alle mie domande. L’ho visto anche quando andò a lavorare con Martelli. L’uomo era oggettivamente straordinario. Ho un ricordo molto preciso della sera dell’attentato a Capaci. Ero in un paesino della Sicilia per un premio, con me c’erano anche Santoro e Enzo Biagi. Alla notizia della morte di Falcone, noi eravamo sul palco, noi che avevamo fatto la staffetta TV contro la Mafia. Scattò un applauso in sala che mai potrò dimenticare.
L’attentato di via Fauro del 14 maggio 1993
Costanzo, dato il suo attivismo, era diventato un bersaglio pubblico. Uno di quei “simboli” che Cosa Nostra avrebbe voluto distruggere per indebolire lo Stato stesso e sottolineare la propria forza. Per questo motivo nei primi anni ’90 al conduttore romano era stata affidata una scorta. I tentativi della mafia di liberarsi della scomoda personalità di Maurizio Costanzo raggiunsero il loro apice nell’attentato di via Fauro del 14 maggio 1993, nel cuore del quartiere Parioli. Erano le 21.37 di sera, era appena andato in onda dal teatro Parioli il Maurizio Costanzo show e il conduttore televisivo stava tornando a casa su un’auto insieme alla moglie, Maria De Filippi, e al proprio autista.
All’improvviso, pochi metri dietro la loro macchina, scoppia una bomba che danneggia le palazzine vicine e crea un cratere nel mezzo della strada. Sono stati 100 chilogrammi di tritolo, pentrite e T4, piazzati in un Fiat Uno fatta saltare dalla mano di Cosa Nostra. Nonostante l’enorme esplosione, non ci sono morti, solo feriti. I bersagli dell’attentato sono salvi.
Ad azionare il detonatore è stato Salvatore Benigno, mafioso palermitano. Insieme a lui, coinvolti nell’operazione, ci sono una decina di uomini di Cosa Nostra, tra i quali Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano. Il mandante è Salvatore “Totò” Riina. I Corleonesi studiavano da tempo i movimenti di Costanzo, a tal punto che erano addirittura stati spettatori del suo show (al tempo non venivano controllati gli accessi al teatro dove si registrava).
Pare che Costanzo, la moglie e l’autista si siano salvati per una leggera indecisione di Benigno nell’azionare la bomba. I tre stavano viaggiando infatti a bordo di una Mercedes, dal momento che era stato fatto un cambio di NCC all’ultimo momento. L’auto che i mafiosi si aspettavano era un’altra, un’Alfasud.
Per l’attentato saranno condannati come esecutori materiali Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Salvatore Benigno, Giuseppe Barranca, Francesco Giuliano e Antonio Scarano. Totò Riina, Bernardo Provenzano, Filippo e Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Giuseppe Ferro e Francesco Tagliavia saranno invece condannati come mandanti.
Due settimane dopo questo attentato, Cosa Nostra colpirà ancora. Questa volta a Firenze, in via dei Georgofili, di fronte all’omonima Accademia. Moriranno 5 persone.