Guy de Maupassant (1850-1893) pubblica il suo primo romanzo Une vie nel 1883 imponendosi come scrittore nella Francia del secondo Ottocento. Ai vertici del Naturalismo, la sua opera si staglia come il doppelganger di una tensione letteraria vicina a quella di Zola ma di cui lui coglie l’aspetto nero, secco e brutale negli ambienti delle classi alte, speculare all’Assomoir del suo celebre contraltare.
Une vie, di cui Stéphane Brizé fìlma il secondo adattamento cinematografico dopo quello del 1958, racconta la storia dell’aristocratica baronessina Jeanne Le Perthuis des Vauds (Judith Chemla), appena uscita di convento, innamoratasi del visconte decaduto Julien Lamare (Swann Arlaud), prima disgrazia della sua vita adulta. Marito tirchio, indisponente, infedele, Julien è colto più volte dalla moglie in flagrante con le sue amanti.
La seconda volta, vero e proprio colpo al cuore, Jeanne non rivela il fatto a nessuno se non al suo confessore, che però non rispetta il segreto e genera una tragedia. Vedova e in attesa di un figlio, perde anche la madre (Yolande Moreau). Con l’aiuto dell’anziano padre prova a portare avanti la tenuta mentre il figlio cresce in collegio desiderando l’aria di casa.
Una volta adulto però, il futuro uomo di casa s’innamora di una donna di facili costumi e lascia la famiglia per andare in Inghilterra, da cui spilla costantemente soldi alla famiglia. Jeanne, ormai sola e depressa, rincontra Rosalie (Nina Meurisse), sua vecchia amica e domestica, prima amante del marito, che le fa compagnia in quel periodo difficile. Alla fine, nonostante tutte le sofferenze, la sfortunata protagonista ritroverà la felicità.
Storia di psicologie e rapporti coltivati sotto una cattiva stella, racconto sociale e politico, Une vie è reso da Brizé in una versione frammentata ma non frammentaria, narrata a suon di altalene cromatiche e sbalzi temporali. I colori della felicità caldi e vibranti di sole o i grigiori della pioggia e dei temporali invadono la scena in sintonia con la protagonista in un sistema di compenetrazioni tendenti ad un’essenziale meteoropatia.
Costruita perlopiù a primi piani, la narrazione va più ad associazioni e richiami che a concatenazione. La resa di un tempo così definito come l’Ottocento è perfetta per minimalismo e realismo. Un passato così vivo, reale, “normale”, fatto di sentimenti, meschinità e atti quotidiani resi in maniera cristalllina, non si vede da Bright Star di Jane Campion.
Gli attori sono scelti splendidamente e ben amalgamati. Oltre all’ottima protagonista possiamo di certo fare un encomio ad un’eccezionale attrice e caratterista come Yolande Moreau nel ruolo della madre Adélaïde, resa con così silenziosa bravura da far scomparire la celebre comedienne dietro il ruolo.
A questa alchimia di certo contribuisce il formato dell’immagine 4:3 e i movimenti semplici e decisi della fotografia gestita da Antoine Héberlé. L’effetto è quello di un film quietamente claustrofobico, che riesce a far sentire il senso di un’esistenza in gabbia, intrappolata dalle sue conoscenze e dal suo tempo. Gioiellino raffinato, intimo, elegante ed essenziale, Une vie vinse alla Mostra del cinema di Venezia 2016 il Premio FIPRESCI ed il prestigioso Premio Louis-Delluc, indubbiamente meritato.