Mattarella bis: almeno risparmiateci la romanticizzazione del fallimento della politica

Mattarella bis

“Avevo altri piani ma se serve ci sono”: queste le parole di Sergio Mattarella che accetta il bis, con quello che potrebbe essere il nuovo motto di noi poveri semplici: quelli che annunciano che questa volta non ci ricascheranno più e che tireranno dritto, ma dopo cinque minuti sono di nuovo lì, a far qualcosa che gli altri non han voglia di fare.





Quando ieri sera davanti alla tv, a Mattarella bis andato in porto, ho visto Enrico Letta battere il cinque ai suoi compagni di partito e gli altri grandi elettori, a eccezione degli esponenti di Fratelli d’Italia, che si abbracciavano e applaudivano, sinceramente, sono rimasta interdetta.

Mattarella bis: un trionfo?

Mi sono chiesta cosa ci sia da festeggiare quando costringi una persona che ti ha ripetutamente detto di no a fare ciò che vuoi tu.  Umanamente, devo ammetterlo, sono ben contenta che un uomo come Sergio Mattarella continui a essere il guardiano della nostra vita costituzionale, ci mancherebbe: sono orgogliosa di questo presidente forte ma garbato da italiana, ma sono anche delusa da elettrice. Come tanti, probabilmente, esco da questa settimana di manfrine imbarazzanti con una consapevolezza un filo populista: ai leader dei maggiori partiti in questo momento non affiderei nemmeno l’organizzazione di una serata in pizzeria. 

Nemmeno Pertini, nemmeno il Padre eterno

E non si dica che non esistono più i candidati che mettono d’accordo tutti: l’impressione è questo Parlamento rimarrebbe impantanato in sè stesso, nei suoi bizantinismi e nei suoi giochetti al sapor di ricatto anche se si trovasse davanti la reincarnazione di Sandro Pertini. Coloro che sono piombati in Parlamento urlando alla necessità di rottamare i vecchi della politica, ora corrono, gementi e piangenti in questa valle di lacrime, a supplicarli di tornare e di risolvere la situazione. 

Eppure era già successo lo scorso anno con Draghi: la classe politica non riesce a trovare un Presidente del Consiglio e si chiama qualcuno da fuori, l’uomo forte al comando, che ci faccia il compitino e ci tolga dal guano. Non riusciamo ad accordarci sul Presidente della Repubblica e chiamiamo Mattarella.

Tirare a campare

È il fallimento di ogni strategia, forse perché una vera strategia non c’è: tiriamo a campare e mandiamo avanti questo Parlamento il più a lungo possibile che, al prossimo giro, dopo le elezioni del 2023, i posti in Senato e alla Camera diminuiscono, grazie alla riforma costituzionale approvata lo scorso anno.

Certo, quando poi oggi tutti salgono sul carro dei vincitori a intestarsi l’idea del Mattarella bis, è chiaro che anche i pochi elettori rimasti ad ascoltare aggrottino le sopracciglia: è di poche ore fa il tweet in cui un sentimentale Enrico Letta dice di volersi tenere ben stretta la matita con cui ha votato per la rielezione di Mattarella a Capo dello Stato. Ecco, almeno questo, mi sentirei di dire: risparmiatecelo. Salvateci dalla retorica romantica con cui adesso cercate di venderci l’assenza di qualsiasi strategia e lo sbriciolarsi di qualsiasi manovra: lo avete implorato, lui ha detto sì e basta.

Almeno il senso del decoro

No, invece non vi accontentate: dovete pure mettervi la coccarda al petto, dovete esibire l’orgoglio del ripiego. Seppure sia un signor ripiego, beninteso, vista la personalità del presidente Mattarella. Non è nemmeno un problema nuovo a dire il vero: gli ultimi due Presidenti della Repubblica di fila sono stati rieletti dopo aver declinato la richiesta di un bis. Bisogna, a questo punto, interrogarsi sul sistema politico e istituzionale.

Sistema presidenziale?

Qualcuno ha già la soluzione in mano: Renzi sostiene che fare eleggere il Capo dello Stato ai cittadini risolverebbe la questione. Eppure, a giudicare dal gradimento dei politici da parte dell’elettorato che li elegge, al netto delle liste bloccate, non sembra che la scelta al seggio per il Quirinale sia la panacea di tutti i mali. Se poi si considera quella sottigliezza istituzionale del Presidente “super partes”, come garante dell’unità nazionale, beh, la questione non è secondaria: chi auspica il presidenzialismo deve sapere che il Presidente sarebbe, ontologicamente, di parte e che dovrebbe condividere il suo potere con il Congresso (con il Parlamento dunque). Senza pensare allo spauracchio delle democrazie illiberali, in cui conquisterebbe tutto il potere.

Non solo Enrico Letta

Ovviamente l’Oscar della cialtroneria vede numerosissimi parimerito: non bisognerebbe nemmeno perdere tempo (eppure lo sto facendo, maledizione) a rammentare che gli stessi partiti che oggi plaudono alla rielezione sono quelli che – citofonare Di Maio – solo qualche anno fa, chiedevano l’impeachment. Quelli che dal distaccamento del Viminale al Papeete urlavano a gran voce “Non è il mio presidente”. Senso del pudore, questo sconosciuto. 

L’unica consolazione di questa svolta non svolta è la percezione che no, almeno nella destra non tutto rimarrà come prima. Che sia il momento per Giorgia Meloni di affrancarsi dalla zavorra di Salvini? Vedremo: non è mai troppo tardi per ripensarci. Lo sa bene anche il Capo dello Stato. 

Elisa Ghidini

 

Exit mobile version