Matrimonio: tra l’antica Roma e oggi cosa è cambiato?

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Sul matrimonio i Romani fondarono la loro civiltà imperiale e millenaria. Furono i primi a capire i fondamenti sociali, religiosi e affettivi di tale unione. Per certi aspetti la loro concezione del matrimonio e della famiglia è arrivata fino a noi, ma si possono rilevare anche interessanti e profondi cambiamenti.

 

I Romani erano un popolo che sentiva profondamente l’attrattiva della vita domestica.

A differenza dei Greci, che nel tempo libero erano sempre in giro a chiacchierare per strada e nelle botteghe, i Romani passavano il tempo con la famiglia e davano importanza al matrimonio. Questa loro caratteristica li rende vicini ai sentimenti e ai costumi della nostra epoca.

Molto diversa era anche la condizione della donna tra la Grecia e Roma.

La condizione delle donne e il loro ruolo nella società, nell’antica Grecia, erano decisamente inferiori rispetto a quelle attestate per l’uomo già nelle prime fonti letterarie. La donna romana, invece, nel ruolo di moglie, appare in ogni età come compagna e cooperatrice del marito, accompagnandolo ai banchetti. Per i Greci era invece scandaloso e inconcepibile che le donne partecipassero al simposio. A Roma, inoltre, la donna condivideva con l’uomo l’autorità sui figli e sui servi e partecipa della stessa dignità del marito nella vita pubblica.

Tuttavia, soprattutto in età repubblicana, la libertà di cui godeva la donna era sempre accompagnata da un senso di austerità e riservatezza. Pur partecipando ai banchetti, per esempio, alle donne non era concesso di bere vino. Anche per quanto riguarda l’educazione, c’erano delle differenze tra uomo e donna. Compiuti gli studi elementari, in cui si imparava a leggere, scrivere e far di conto, le bambine proseguivano i loro studi privatamente. Dei praeceptores  insegnavano la letteratura latina e greca, ma anche a ballare, cantare e suonare la cetra. La donna si occupava anche di lavori prettamente femminili. In particolare, le Romane erano specializzate nel ricamo.

I Romani avevano l’uso di dare in moglie le figlie quando erano ancora giovanissime ed era il padre a cercare lo sposo. Le fanciulle conducevano quindi una vita appartata e il flirt, come lo intendiamo noi, doveva essere rarissimo. Era con il matrimonio che la donna romana acquisiva una certa libertà di movimento e, in generale, di vita. E questo è un altro scarto con la donna greca, che invece sposandosi passava semplicemente dallo star chiusa in casa del padre allo star chiusa in casa del marito. Le matrone romane, invece, potevano uscire liberamente, scambiarsi visite, andare in giro per negozi, accompagnare i mariti ai banchetti e tornare a casa tardi.

Il matrimonio poteva essere di due tipi. Il primo, il più arcaico, è il matrimonio con la conventio in manum.

In questo caso, la donna entrava a far parte della famiglia del marito divenendo soggetta al potere maritale (manus) proprio come i figli erano soggetti alla patria potestas. Dal punto di vista dei diritti familiari e di successione, la donna era quindi nelle condizioni di figlia.

L’altro tipo di matrimonio, che vige in tutta l’età classica, è il matrimonio sine manu.

In questo caso, la donna continuava ad essere parte della famiglia paterna, sotto la potestas  del proprio padre e non del marito. Il matrimonio sine manu  non è formale. È un matrimonio basato sulla convivenza degli sposi e il loro perdurante consenso a continuare a scegliersi come marito e moglie. Per scioglierlo bastava una separazione privata dei coniugi. Questo avveniva, per esempio, quando il marito intimava direttamente alla moglie, o con un biglietto mandato attraverso uno schiavo: “Tuas res tibi habeto  (riprenditi ciò che è tuo)”.

Anche se era facile sciogliere il matrimonio, non bisogna pensare che per i Romani questo vincolo fosse di poco valore. Al contrario, i Romani furono i primi a capire i fondamenti sociali, religiosi e affettivi del matrimonio.

La separazione, sebbene fosse semplicissima nella forma, era comunque un atto di importanza eccezionale. Inoltre, le seconde nozze non erano ben viste dall’opinione pubblica. Sembra che oggi accada il contrario: il matrimonio e la separazione sono atti formali, disciplinati dalla legge, ma le seconde nozze non sono più considerate disdicevoli, anzi, sono diventate totalmente normali. Le donne romane, inoltre, andavano incontro a pesanti sanzioni nel caso in cui tradissero i mariti.

Per i Romani, infatti, il connubium  era un vincolo importantissimo, e sulla santità del matrimonio impostarono la loro civiltà imperiale millenaria.

Anche riguardo a questi due punti si rilevano delle differenze importanti con la nostra epoca. In una società liquida come la nostra, infatti, anche le relazioni diventano sempre più fluide. La famiglia è spesso allargata e disgregata. Il matrimonio, se celebrato, è più un’occasione mondana. La nostra società sembra non basarsi più sulla centralità del nucleo familiare, quanto sulla centralità del singolo individuo.

Il matrimonio e in generale il ruolo della famiglia hanno contribuito, insieme ad altri forti vincoli di solidità sociale, a rendere la civiltà romana l’enorme potenza che è stata. Oggi, in un periodo di passaggio epocale e di ridefinizione di tutti i parametri, godiamo di molta più libertà, ma allo stesso tempo ci troviamo a fare i conti con una realtà instabile e molto spesso difficile da governare. L’esempio dei Romani ci rende chiaro che la stabilità di uno stato parte innanzitutto dalla stabilità dei piccoli nuclei che lo compongono, in primis la famiglia. Come conciliare, oggi, l’esigenza di un centro stabile con i continui mutamenti di una società in veloce evoluzione? Rispondere a questa domanda è forse una delle sfide più grandi alle quali va incontro la nostra epoca.

Giulia Tommasi

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