Maternità e lavoro: quando conciliare è impossibile arrivano le dimissioni

Fotografia di un panorama frammentato dove sono ancora molte le donne costrette a scegliere fra maternità e lavoro.

maternità e lavoro

Maternità e lavoro: un cambiamento in fatto di ritmi e abitudini nella vita di ogni famiglia. Preoccupano i dati che tutt’oggi ci raccontano di un’enorme spaccatura fra padri e madri, dove quest’ultime si trovano ancora costrette a rinunciare a una parte fondamentale della loro libertà: il lavoro.

Maternità e lavoro, una questione attuale e discussa nei più disparati contesti, dal diritto alla letteratura, passando per associazioni, movimenti. Eppure, la quadra che si cerca di raggiungere ormai da decenni stenta ancora a pervenire.

Questo 5 dicembre è stata resa pubblica la Relazione annuale sulle Convalide delle dimissioni lavoratrici madri e lavoratori padri relativa all’anno 2022, curata dalla Direzione Centrale vigilanza e sicurezza dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Il nucleo di questa analisi prende in considerazione il rapporto fra i genitori lavoratori e il tasso di dimissioni a essi associato, ponendo attenzione non soltanto al genere ma anche alla categoria del lavoratore e al numero dei figli.

Dai dati emerge che nel 2022 sono oltre 44mila le dimissioni convalidate per le lavoratrici madri e 16mila quelle riguardanti i lavoratori padri. Una spaccatura significativa, specialmente se si tiene conto del fatto che il 63% delle donne dichiara che la causa principale si riassume in difficoltà relative alla conciliazione famiglia-lavoro.

Nel dettaglio, le madri dichiarano:

Questo scenario vede, a fianco della notevole prevalenza di convalide femminili, un altro fattore chiave del tema madri e lavoro: le qualifiche.

Il numero di convalide per dimissioni risulta essere estremamente disomogeneo a proposito delle qualifiche analizzate, indicando una spaccatura importante anche per ciò che concerne le donne nel mondo del lavoro. I numeri più alti di convalide si rintracciano presso le qualifiche di impiegato e operaio, mentre, i dirigenti sembrerebbero essere meno colpiti da questo fenomeno.

Comprendiamo come, secondo questa analisi, il complesso meccanismo che ruota attorno a maternità e lavoro si interseca puntualmente con il tradizionale assetto della donna nel mercato del lavoro stesso, determinando chiare disuguaglianze relative al settore non soltanto in virtù della maternità ma anche relativamente al genere nella sua accezione più ampia.

Come citato nelle motivazioni espresse dalle madri che si dimettono, il fenomeno preoccupa poiché sebbene sussistano delle leggi a tutela della maternità, gli strumenti in mano alle aziende per mettere in difficoltà le madri e spingerle eventualmente a fare un passo indietro sono ancora molteplici e, a fianco di realtà etiche e innovative che riconoscono il pieno sostegno alla maternità alle loro lavoratrici, permangono ad oggi realtà molto ostili che occupano, sfortunatamente, una grade fetta del mercato lavorativo.

Le differenze toccano inoltre la genitorialità in senso più ampio, riconoscendo ad esempio un periodo di paternità di gran lunga inferiore rispetto a quello delle madri. Seppur potremmo essere indotti a pensare che differenze come questa siano una conseguenza logica, possiamo in realtà desumere quanto un fattore del genere possa nascondere in sé l’insidia della deresponsabilizzazione e, di conseguenza, sovraccaricare la donna di presunte tutele capaci di alimentare il divario e i timori delle aziende riguardo la maternità.

Il cammino che concerne maternità e lavoro procede a rilento e si manifesta ancora oggi variegato e tortuoso. Dati così preoccupanti ci suggeriscono che forse è il momento di ripensare il modo di garantire queste tutele e sincerarsi che siano diffusamente applicate.

 

Stefania Barbera

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