La materia pittorica nei tronchi di Van Gogh
Nel suo ultimo anno di vita, Van Gogh dipinse due quadri che possono essere considerati di paesaggio, ma in cui ripose un’attenzione del tutto particolare per la materia pittorica costitutiva dei tronchi degli alberi; i colori non naturalistici accostati l’uno all’altro in brevi ed energetici tratti non restituiscono più la corteccia nella sua realtà oggettiva, bensì animano le piante giocando sulla materialità ruvida e tormentata di questa componente naturale. I tronchi così risaltano per un carattere tutto proprio rispetto al resto della raffigurazione. Si dinamizzano nel salire, deviare, avvilupparsi o muoversi attorno le scabrosità. Lo sguardo si attorciglia nel seguire le contorsioni della corteccia, da cui fuoriesce tutta l’attenzione e il portato emozionale che l’artista vi ha fatto confluire in maniera evidente.
La riproduzione viene a mancare, il mondo soggettivo di Van Gogh
È una materia pittorica che nel costruire questi alberi risalta, e che nella sua totalità è ancora asservita alla riproduzione di un soggetto, ma già tanto lontana dalla restituzione illusoria dell’elemento vegetale nella sua realtà; i tronchi vivono nel quadro per lo sguardo puramente soggettivo di Van Gogh, che stira al limite la capacità riproduttiva del colore insinuando al suo posto la vigoria delle sensazioni emotive personali.
Settant’anni dopo
Un’attenzione per la materia che dà il proprio colpo ai canoni figurativi già ampiamente messi in discussione sul finire dell’Ottocento; attenzione che può essere considerata antesignana del lavoro di un artista la cui produzione fu continuamente rivolta verso la stessa sostanza pittorica, il suo spessore, la materia vista da vicino fino alla sua totale indefinitezza, ovvero Jean Dubuffet.
L’attenzione alla materia, legami con il mondo naturale
Per tutta una prima parte della sua carriera la sua proposizione della materia mantenne una provenienza dal mondo naturale, o un ritorno possibile ad essa; le Materiologies e le Texturiologies sono due serie dell’artista che affrontano la possibilità di ricreare e proporre allo spettatore un contatto con pezzi di terreno, superfici vegetali, illusioni di contesti stellari; entro una cornice sono come isolati dal continuum esistenziale di cui sembrano prelevati. Ma il passaggio successivo fuoriesce da questo legame con la natura, è la riscossa dell’artificiale che porta fino in fondo quanto si presentiva nei colori al limite dell’astratto dei tronchi di Van Gogh.
La materia pittorica di un mondo tutto artificiale
Dubuffet comincia nel ’62 il ciclo dell’Hourlope, che proseguirà fino agli anni ’70 e che dal piano bidimensionale arriverà ad occupare con le sculture lo spazio ambientale. Tramite tale ciclo inverte quanto visto finora; le cellule di questa nuova materia creata dall’artista, definite da inerti segni diagonali secondo i colori tipici di penne e pennarelli, rosso, blu, nero, bianco, sono le unità fondamentali di un nuovo mondo del tutto alieno, altro, rispetto a quei riferimenti alla realtà naturale che rimanevano nelle ricerche precedenti; è un mondo inorganico che scarta dalla realtà e si propone opera dopo opera secondo tutte le proprie infinite e casuali variabili. Dalle singole cellule questa nuova materia artistica si espande, prolifera, costruisce da oggetti reali dei doppi fantasmatici, fino a conglomerati continui che in maniera indistinta conquistano l’intero spazio dell’arte, e con le sculture raggiungono lo stesso ambiente in cui viviamo.
Giacomo Tiscione