Di Zar Abdul
Che cos’è esattamente la mascolinità tossica o il machismo?
In psicologia si parla di mascolinità tossica riferendosi all’insieme di comportamenti e atteggiamenti nocivi associati agli uomini, che vengono comunemente visti come segni di virilità o dell’essere “vero uomo”. Il più delle volte riguarda la soppressione di sentimenti ed emozioni, e l’uso della forza e del dominio (fisico e psicologico) come mezzo di affermazione del proprio io. Ne sono un esempio frasi come “fai l’uomo, non piangere”, “un vero uomo non chiede mai scusa”, “un vero uomo non esita, ma agisce”, “non fare la mezza f*ga”, “l’uomo è predatore” “l’uomo è il capo famiglia e deve portare il pane a casa”, “sii un uomo con gli attributi” ecc… ecc…
Il primo a teorizzare ed usare il termine mascolinità tossica nel suo saggio “Revisioning Masculinity – A report on the growing men’s movement” pubblicato nel 1987, fu lo psicologo americano Sheperd Bliss.
Uno dei punti cruciali del suo trattato riguarda i due fattori che stanno portando il cambiamento di immagine di ciò che tradizionalmente era considerato vero uomo, e sono: la crescita del movimento femminista e i cambiamenti economici.
Il primo fattore ha come conseguenza l’acquisizione di diritti da parte delle donne che sono portate sempre più in posizione di parità rispetto all’uomo (anche se tutt’ora non si è ancora raggiunto tale parità), mentre il secondo fattore segna l’entrata delle donne in lavori e ambienti lavorativi che, fino pochi anni fa, erano prettamente maschili.
Che la mascolinità tossica abbia una stretta relazione con il sessismo ce lo dice proprio S. Bliss, quando parla del ruolo fondamentale che il movimento femminista ha avuto nell’influenzare ed incoraggiare gli uomini a mettere in discussione l’idea di mascolinità intorno agli anni ’70.
È indubbio che il ruolo di vero uomo, macho e virile esiste solo se messo in correlazione con il ruolo della donna. Se, ad esempio, al mondo esistessero solo uomini eterosessuali queste dinamiche non ci sarebbero.
Al contrario, la necessità di definire un ruolo dominante rispetto alla donna, in termini di forza, potere economico e politico, capacità di sopraffare gli altri, attitudine al coraggio e alla lotta, ha portato a concepire tutta una serie di comportamenti che sono, e sicuramente erano, comunemente accettati come “da uomo”.
Questa divisione di ruoli e comportamenti tocca, di fatto, pressoché qualsiasi aspetto della vita privata e sociale di ogni individuo.
Fin da bambini, se maschi, veniamo abituati a reprimere i nostri sentimenti (ad esempio a non piangere perché farlo è da femmina). Ci vengono insegnati giochi da maschio, e veniamo abituati ad essere forti ometti che devono fare gli uomini di casa o proteggere le sorelle. Ci viene insegnato, dunque, ad essere forti uomini che dovranno controllare e comandare, senza mai mostrare debolezze. Una pressione ed un’aspettativa sociale che può creare non pochi disagi in un giovane che cresce senza rispecchiarsi in questa idea di uomo.
La mascolinità tossica si manifesta, ad esempio, anche nella richiesta d’aiuto e questo è un aspetto molto delicato della questione.
Spesso l’essere abbastanza forti da riuscire a risolvere i propri problemi da soli è considerato da vero uomo, motivo per cui chiedere aiuto viene visto come una debolezza. Questa visione può risultare devastante quando ci sono problemi mentali da risolvere. Se rivolgersi ad uno psicologo è segno di debolezza allora, l’uomo sceglierà di vivere il proprio dolore in solitudine, e il fallimento della gestione del periodo di difficoltà può portare anche a gesti estremi come il suicidio o l’omicidio (pensiamo a uomini incapaci di chiedere aiuto dopo la fine di una relazione o la perdita del lavoro).
Nel 2005 passava in televisione la pubblicità della Denim che riportava come slogan “Denim, per l’uomo che non chiedere mai”.
Nello spot l’uomo forte, muscoloso e virile si metteva il dopobarba in bagno dopo essersi raso. Si guardava fiero davanti allo specchio mentre la donna, rigorosamente seminuda con indosso solo la camicia di lui, si alzava dal letto per raggiungerlo in bagno, farsi abbracciare da dietro e farsi infilare la mano nella camicia sbottonata dall’uomo che non deve chiedere mai.
Questo è solo uno dei tanti esempi su come la comunicazione di massa abbia accentuato e instillato nella testa delle persone un’idea precisa di uomo forte e predatore/dominante, e di donna preda, oggetto sessuale a disposizione dell’uomo, mamma e donna di casa.
A tal proposito c’è una ricerca molto dettagliata condotto dall’Art Directors Club Italiano in collaborazione con Università Alma Mater di Bologna e Nielsen Italia, chiamata “Come la pubblicità racconta le donne e gli uomini, in Italia”.
Questi ruoli spesso portano ad esasperazione le relazioni al punto in cui ci sono uomini che per affermare la loro forza e posizione di dominio diventano padroni della vita della persona che hanno accanto.
Uomini che decidono se la donna può avere amici, se può lavorare, uscire o vestirsi in un certo modo. Per quanto ad alcuni possa risultare strano e “antico”, queste relazioni esistono e vanno al di là della semplice gelosia e senso del possesso. Hanno a che fare con l’idea di quello che una persona ha come ruolo e comportamento di un vero uomo.
Se insegniamo ai ragazzi di oggi che rispettare la donna, lasciarla libera, amarla senza imporre limiti e rispettare i rapporti che ha non è segno di un uomo debole e fragile, allora forse sarà possibile ambire ad un’inversione di tendenza reale e totale.
Di contro, quando si parla di casi di stupri o abusi nei confronti degli uomini, e spesso nei confronti di ragazzi studenti, molti reagiscono come se l’episodio dovesse essere celebrato come un evento positivo, sottintendendo che l’uomo, in qualità di predatore sessuale non possa mai subire dalla donna ed esserne sopraffatto. Questo rende incredibilmente difficile la denuncia dei reati nei più giovani, ma a maggior ragione nei casi in cui è l’uomo adulto a subire abusi e violenze (che per quanto possano essere in numero decisamente inferiore rispetto agli abusi subiti dalle donne, esistono).
Dati Istat relativi all’anno 2016-2017 raccontano di circa 3 milioni 754 mila uomini che almeno una volta nella loro vita hanno subito violenze a sfondo sessuale.
Barbara Benedettelli, politica e scrittrice, autrice di “50 sfumature di violenza. Femminicidio e Maschicidio in Italia” sostiene che:
“che ci siano meno casi di violenza sugli uomini non è un dato di fatto. In Italia non ci sono indagini ufficiali e largamente condivise che possono confermarlo. E gli uomini, a causa dello stereotipo di virilità e della quasi certezza di non essere creduti, non denunciano”.
La mascolinità tossica si riscontra in ambito lavorativo, quando si sottintende che un uomo di successo non possa mai chiedere aiuto e supporto a delle figure femminili, proprio perché nelle posizioni di rilievo e di comando ci sono quasi solo uomini. Dunque, è segno di incapacità e vulnerabilità affidarsi alle donne in determinati settori (pensiamo ad esempio all’ingegneria meccanica).
Un ambito lavorativo in cui la si riscontra in maniera limpida è quello dello sport, soprattutto quelli considerati maschili, come calcio e rugby.
Ne parla Claudio Marchisio, ex calciatore della Juventus e della nazionale italiana, quando spiega come un gioco considerato “maschio” soffra di una mascolinità tossica che ha sempre messo in grande difficoltà chiunque non fosse eterosessuale. Di fatto, una delle caratteristiche del machismo è proprio quello di ridicolizzare e considerare gli uomini omosessuali come “femminucce” o “checche” (per usare un termine volgare).
Da qui la chiara difficoltà che può avere una persona nel fare coming out quando deve vivere e condividere campo, spogliatoi, e spazi intimi con uomini che si sentono veri solo perché eterosessuali.
Marchisio, in un intervista rilasciato in occasione dell’uscita del suo libro afferma:
“abbiamo estremo bisogno di una rivoluzione dei costumi. Bisogna che l’inconsapevolezza di fondo sparisca. È necessario che il linguaggio comune si liberi una volta per tutte da qualunque ammiccamento machista, da ogni ironia sottintesa quando si parla di orientamenti sessuali.”
Parlando nello specifico della sua carriera aggiunge:
“Non so se ho mai avuto dei compagni di squadra omosessuali. Se ci sono stati, non si sono mai sentiti liberi di dirlo pubblicamente, né a me (cosa che conta poco) né al mondo”.
Con difficoltà, ma in numero sempre maggiore, sentiamo di coming out anche da parte di uomini che una volta erano considerati sex symbol per caratteristiche fisiche e per come si presentavano. Uno dei primi fu l’amatissimo cantante Ricky Martin, e tra gli ultimi in lista troviamo l’attore Gabriel Garko. Possibile, tuttavia, che il mondo del calcio viaggi su binari completamente diversi dove non ci siano persone con una sessualità diversa? È evidente come il machismo renda complicato anche vivere la propria sessualità e questo va ben oltre il mondo dello sport, perché riguarda la vita di tutti i giorni e in tantissimi ambienti sociali, lavorativi e famigliari.
Quando parliamo di mascolinità tossica, parliamo di una piaga. Dobbiamo averne consapevolezza e forza di combatterla. Ma continuerà a non essere facile farlo, se quando si affronta il discorso vengono eretti muri insormontabili.
Il 13 gennaio 2019, Gillet (la marca di rasoi) ha lanciato una pubblicità proprio per sensibilizzare gli uomini a proposito della mascolinità tossica.
La compagnia ha dovuto cancellare e togliere parte della quantità incredibile di dislike ricevuti su youtube, tuttavia, ad oggi la pubblicità a fronte di 64 mila likes ha totalizzato 108 mila dislike ed originariamente erano oltre 200 mila. I commenti, però, ci sono ancora ed è possibile vedere quanta resistenza feroce e cattiva ci sia da parte degli uomini quando si tratta di riconoscere questo problema e cercare di invertire la tendenza.
Parliamo di stereotipi, aspettative ed ideologie che esistono da talmente tanto tempo che influenzano tutti e tutto ad ogni latitudine e longitudine. Un retaggio culturale che richiederà pazienza, forza e costanza per essere ribaltato.
Psicologi, attivisti, giornalisti e vari professionisti nel campo socioculturale hanno creato The Good Man Project, una piattaforma online che tratta questi temi importantissimi, e credo sia un punto di partenza molto valido per chi vuole affrontare in maniera consapevole la mascolinità tossica in tutte le sue forme e sfaccettature.