Martin Niemöller: sareste pronti, se domani toccasse a voi?

Il discorso di Martin Niemöller ci invita a non fare come le tre scimmiette ritratte nella foto: non possiamo non vedere, non sentire, non parlare quando i diritti degli altri vengono lesi.

Il discorso di Martin Niemöller ci ricorda che è nostra responsabilità, quando gli altri vengono privati dei loro diritti, non agire come le "tre sagge scimmiette" ritratte in foto.

Un famoso discorso di Martin Niemöller, pastore protestante e teologo tedesco, ci ricorda fino a che punto colpevoli si possa non essere soltanto agendo male. Anche l’omissione è una colpa. E se non interveniamo quando è nostra responsabilità, lo scotto potrebbe andare ben oltre la nostra coscienza. In un mondo in cui l’abuso è reso legittimo dal nostro assenso le prossime vittime saremo noi.

Un famoso discorso del quale pochi conoscono l’autore

Il nome di Martin Niemöller in Italia non è molto noto al grande pubblico. Eppure, c’è uno stralcio di un suo discorso che tutti hanno letto o ascoltato almeno una volta. Il brano in questione, nella traduzione italiana più citata, è il seguente:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Dopo vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Infine vennero a prendere i comunisti e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, ma non c’era rimasto nessuno a protestare.





Lo riconoscete?

Queste parole sono onnipresenti quando si tratta della difesa dei diritti umani, nonché a ridosso delle celebrazioni per la Giornata della Memoria. Ma qual è la storia di questo discorso e del suo autore?

L’errore, la dissidenza, la comprensione

Martin Niemöller era un pastore protestante che inizialmente aveva supportato il nazismo. Politicamente conservatore e nazionalista, Niemöller aveva creduto che l’ascesa di Hitler avrebbe frenato l’ateismo incoraggiato da comunisti e socialdemocratici. Già nel 1936, però, il teologo insieme ad altri pastori firmava una petizione che criticava le politiche naziste e soprattutto il “Paragrafo Ariano”. Cioè la clausola che limitava il diritto di partecipazione a organizzazioni e istituzioni, nonché il diritto di residenza, ai soli membri della “razza ariana”. Con la firma della petizione in difesa della carità cristiana e dell’autonomia della Chiesa protestante iniziava la dissidenza. Nel  luglio 1937 Martin Niemöller fu incarcerato, per essere rinchiuso nel 1938 prima a Sachsenhausen e poi a Dachau. Liberato solo nel 1945, egli fu testimone degli orrori del regime, che conobbe anche dai racconti degli altri prigionieri.

Dare voce alla colpa

Nel rivolgersi il 6 gennaio 1946 a Francoforte alla Chiesa Confessante, Niemöller invitava tutti gli uomini di chiesa a un severissimo esame di coscienza:

I primi mandati nei campi furono i comunisti.

A chi importava di loro? Lo sapevamo, era scritto sui giornali. Chi parlò in loro difesa, forse la Chiesa Confessante? Pensavamo: “sono comunisti, atei, nemici della fede cristiana”. Ragionavamo come Caino: “Sono forse il guardiano di mio fratello?”.

Poi si sbarazzarono dei malati.

Infine, vennero gli Ebrei.

Noi abbiamo preferito rimanere in silenzio, con l’alibi che ci avrebbero uccisi se avessimo parlato. Come membri della Chiesa Confessante, non siamo certo senza colpa. E non riesco a smettere di chiedermi cosa sarebbe successo se nel 1933 o nel 1934 fossimo riusciti a opporci. Se allora, quando doveva esserci una possibilità, 14000 pastori e comunità protestanti in tutta la Germania avessero difeso la verità. Anche fino alla morte.




Un monito per il presente e per il futuro

Il famoso discorso di Martin Niemöller, dunque, è un’ammissione di colpa e un monito per le generazioni successive a non ripetere gli stessi errori. Come evidenziato da Harold Marcuse, storico esperto del pensiero del teologo, Niemöller avrebbe ripetuto spesso quel discorso nei suoi interventi pubblici, adattandolo agli interlocutori. Di volta in volta a ricoprire il ruolo di perseguitati ci sarebbero stati comunisti, socialisti, Ebrei, omosessuali, malati, zingari. Il senso dell’operazione del teologo è chiaro. Con questo discorso, infatti, egli invita a cogliere una sfida.  Guardate a chi vi è più estraneo ideologicamente e/o esistenzialmente – sembra esortare Martin Niemöller – e preparatevi a schierarvi al suo fianco. Imparate ad amare e difendere proprio chi sentite che non vi riguarda. Fate questo per nessun’altra ragione che con queste persone condividete il fatto elementare di essere umani.

E se domani toccasse a noi?

Gli orrori del secolo scorso – alcuni dei quali già ripetuti con impegnonon iniziarono con grande clamore.

Primi non vennero i pestaggi, le retate, i campi di concentramento, le soluzioni finali. Prima, in sordina, un gruppo di persone si conquistò il potere di spogliare altri dei loro diritti. Prima, chi avrebbe potuto e dovuto opporsi rimase a guardare. O si voltò dall’altra parte.




Per questo il discorso di Martin Niemöller ancora oggi è prezioso.

Ci mette in guardia dal credere che un abuso non ci riguardi solo perché non ci colpisce. E ci ricorda che l’identità e le convinzioni non possono essere difese privando di diritti chi non le condivide.

In quanto membri di una comunità, noi siamo responsabili.

Ogni nostro silenzio diviene assenso.

Un assenso che legittima ogni ulteriore abuso.

Fino a creare un mondo in cui noi non potremo non essere, presto o tardi, le prossime vittime.

Valeria Meazza

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