Marketing Museale: la salvezza per la cultura in Italia

Nelle ultime settimane siamo rimasti sconcertati da numerose notizie in merito alla scarsa importanza della cultura in Italia. Arte scomparirà come materia nelle scuole e la percentuale di italiani che frequenta i musei è davvero imbarazzante. Ma una soluzione c’è, e si chiama marketing museale.






Sebbene il nostro paese sia un gioiello ricco di storia e reperti culturali ed artistici, secondo i dati forniti dalla Federculture ben sette italiani su dieci non mettono piede in un museo da tempo. Inoltre, arte non sarà più una materia insegnata tra i banchi di scuola, e chi lo sa se in futuro le nuove generazioni sapranno che il Botticelli non è un marchio di vino.

Ma sarà tutta colpa degli italiani? Non secondo Maurizio Vanni, il precursore del marketing museale.

Fonte: Huffpost

 

Maurizio Vanni è un personaggio fortemente conosciuto nell’arte contemporanea internazionale e apprezzato per le sue idee innovative. Grazie alla sua formazione trasversale, in storia dell’arte e museologia ed art management, Maurizio è riuscito a mettere in pratica un progetto ambizioso nel quale collaborano arti visive ed economia.

Il suo curriculum internazionale ci aiuta a capire: attualmente è professore ordinario di Museologia e Marketing museale presso l’Università di Buenos Aires e Tor Vergata di Roma, presidente e CEO di MVIVA (azienda specializzata nelle diverse forme di marketing legate alla cultura per imprese private, territori e musei) e direttore esecutivo del Lu.C.C.A. – Lucca Center of Contemporary Art, ha un passato come curatore al M’Ars Contemporary Art Center di Mosca e ha lavorato in tutto il mondo, da Seoul a Nuova Delhi, da Chicago a Rio de Janeiro.

Il marketing museale

Questo studioso ha il merito di aver stravolto il concetto di cultura grazie a quello di marketing museale. Il suo pensiero è che, in un mondo in costante cambiamento, la cultura anziché essere considerata un peso da mantenere deve diventare uno strumento di marketing, terreno fertile di opportunità.

Il marketing museale è infatti costituito da tutte le attività che un museo dovrebbe intraprendere per migliorare la qualità del servizio che offre e per arrivare al suo pubblico in maniera efficace.

In passato (e in Italia ancora attualmente) i musei erano luoghi adibiti alla conservazione degli oggetti. Oggi invece il museo deve concentrarsi sull’orientamento al visitatore, che non si accontenta della semplice visita con audioguida ma che ricerca vere e proprie esperienze di spessore. Avvicinare l’offerta alle esigenze culturali dei potenziali visitatori è la chiave del successo.

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Fonte: Artemagazine

Il professore Maurizio Vanni ha presentato recentemente il suo nuovo libro Il Museo diventa impresa, da lui definito “un racconto di randagismo culturale funzionale, elaborato durante le esperienze in più di 60 musei in giro per il mondo”. Nel libro ha infatti racchiuso tutte le sue idee nate negli anni e le strategie per metterle in atto.

Durante la presentazione del libro tenutasi nel Museo Diocasano di Genova, sono intervenuti numerose personalità importanti tra cui l’assessore alla cultura Barbara Grosso, il cultural manager Maurizio Gregorini e l’artista Pasquale Galbusera. Insieme, hanno esposto la situazione del panorama culturale italiano, proponendo il nuovo approccio al marketing museale.

Siamo tutti d’accordo, l’Italia ha già la materia prima: le opere, i siti culturali, la storia. Secondo Maurizio Vanni bisogna quindi “studiare i modelli internazionali funzionanti e riportarli. Adattarsi alla società che vuole la cultura in modo diverso”.

I modelli funzionanti

All’estero, infatti, in molte città hanno già capito come dare valore alla cultura: trattando l’istituzione museale come una vera e propria impresa, con tanto di business plan e strategie marketing su dipartimenti.

A Seoul la multinazionale Samsung ha visto il potenziale di questo business ed ha investito molti soldi nel museo di arte contemporanea della capitale. Il museo diventa impresa quando si interfaccia con i visitatori come fossero clienti.

Il compito del museo è sempre lo stesso, trasmettere dei contenuti al visitatore che possa imparare, ma l’approccio dev’essere differente. Il professore Maurizio Vanni afferma:

“Noi non siamo abituati, ma nel mondo si lavora per obiettivi. L’unica cosa da non fare è non fare.”

Cosa manca all’Italia per fare di un museo un’impresa?

Secondo l’Assessore “nuove modalità per fruire dei contenuti, che sono tanti. Il museo non deve più essere una vetrina piena di polvere ma un’esperienza da raccontare e da vivere più volte. L’obiettivo del museo è quello di far tornare i visitatori affinché possano fruire di nuovi contenuti. Una buona soluzione è senz’altro legare privato e pubblico, potrebbe fare la differenza che ad oggi non c’è stata”.

Il Cultural Manager aggiunge: “Essendo all’anno zero è anche più facile lavorarci. Questo però indica che ad oggi non è esistito un corretto sguardo ai fattori e bisogna liberare le città dal blocco delle istituzioni”.

È infatti inevitabile ritrovare le medesime dinamiche in tutte le città di provincia e non. Bisogna senz’altro considerare che l’Italia è una realtà infinitamente piccola in termini di dimensioni e le nostre metropoli confronto a quelle in giro per il mondo non possono quasi considerarsi tali.

I problemi dell’Italia, secondo Maurizio, sono principalmente due: eccessivo individualismo e mancanza di progettualità su obiettivi misurabili. Non siamo ancora abituati ad unire le forze per ottenere grandi risultati, ancora preferiamo tenerci stretti i segreti senza divulgare le strategie per paura che qualcuno ci possa copiare. E questo è l’errore più grande commesso da noi italiani, che non ci permette di vedere le cose in grande. L’unione fa la forza!

Senza contare la vita cui sono costretti i giovani laureati italiani, pieni di idee che non possono esprimere perché le nostre università sono totalmente disconnesse dal mondo professionale: gli stage anziché essere propedeutici ad una assunzione sembrano susseguirsi uno all’altro senza finire mai. Chi vuole esprimersi si stufa e va a cercare fortuna all’estero, riuscendoci nella stragrande maggioranza dei casi.

Ridefinire l’identità museale

Questo cambiamento non presuppone una snaturalizzazione dell’identità museale, bensì vuole vedere il museo come Agorà. Un centro nel quale le persone stanno bene e si divertono, un punto di riferimento congeniale per tutte le età.

La parola d’ordine è infatti fidelizzazione, come in tutte le migliori aziende. Le persone devono avvicinarsi al museo, bisogna offrire servizi diversi come ad esempio un bar ben strutturato. Anche chi si approccia al museo solo per un buon caffè e per la bellezza degli spazi, prima o poi sarà attratto ed incuriosito dal contenuto ed entrerà a vedere la mostra.

La missione del museologo è quella di non sfiorare l’aurea magica del museo, bensì muovere quello che c’è intorno. Secondo Maurizio le vie sono tre:

Prendendo d’esempio i casi internazionali, tutto ciò è realizzabile mediante una partnership tra pubblico e privato. Entrambi devono collaborare: da una parte il pubblico ha il compito di garante, dall’altra il privato funge da braccio operativo.

Lucca Museum of Contemporary art Fonte:Luca Bacchetti

La cultura non è una spesa ma un investimento

Senza contare che il flusso positivo del sistema museale sarebbe congeniale e proficuo per la città intera e tutti ne trarrebbero vantaggi, dagli albergatori ai ristoratori. Una città florida in ambito culturale è in grado di agevolare lo slow turism, ben diverso dal pernottare due notti. Creare un circuito, una rete solida che non stufi mai i visitatori affinché abbiano il desiderio di tornare, è l’unico modo per creare un impatto economico durevole della cultura sulla città.

Cultura e turismo sono due concetti inseparabili in Italia e i musei non stanno in piedi solo con i biglietti. Bisogna usare delle strategie: il ristorante stellato, il negozio dei souvenir, organizzare convegni, aprire un bookshop, investire su guide e artisti che si travestano per rendere divertente e ancora più pertinente l’esperienza, mettere su performance teatrali per anticipare una mostra. Questo è il marketing museale, tutto ciò che concerne la buona riuscita del business culturale.

Il marketing esperienziale

Uno dei capitoli del libro è dedicato al quoziente emozionale (QE), indice da misurare con lo scopo di perfezionare l’offerta museale. Quanto ti ha emozionato questa esperienza? Che cosa ti ha lasciato?

Sulla base di questo concetto, il Canada ha recentemente introdotto un progetto di cura attraverso l’arte. L’arte e la cultura fanno bene alla salute e sono in grado di stimolare delle sensazioni in noi, pertanto i medici canadesi potranno prescrivere visite ai musei ai loro pazienti come terapie per malattie del corpo e della mente.

“L’idea è quella di migliorare il ‘benessere emotivo’ dei pazienti facendo appello alla loro sensibilità artistica”, spiega Nathalie Bondil, direttore generale del Museo delle Belle Arti di Montreal, “la nuova frontiera della cultura nel ventunesimo secolo è fare quello che le attività fisiche hanno fatto per la salute dell’uomo nei secoli passati”.

La dottoressa Hélène Boyer, vicepresidente dei Medici francofoni del Canada, aggiunge: Ci sono sempre più prove scientifiche che la terapia dell’arte fa bene alla salute fisica. Aumenta il livello di cortisolo e di serotonina. Quando visitiamo un museo secerniamo ormoni e questi ormoni sono responsabili del nostro benessere. Le persone tendono a pensare che questo sia utile solo per chi ha problemi di tipo psicologico. Ma non lo è solo per loro”.

Date ascolto ai giovani

L’incontro a Genova si è concluso con il prezioso intervento dell’artista Pasquale Galbusera, scultore e pittore italiano di fama internazionale, il quale ci ricorda l’importanza di stare al passo con le nuove generazioni. Non il contrario. La rapidità di decifrazione delle immagini da parte delle nuove generazioni è molto più veloce rispetto alla nostra. Comprenderli significa utilizzare l’interazione tecnologica per imparare giocando.

“Quello che manca nei musei è l’interessamento dei giovani, non solo per guardare. Nel mio studio imparo molto dai bambini, non sono inquinati. Metto musica, mostro disegni astratti, insegno ad usare la tempera e poi dico di continuare a casa con i genitori. Integro e attraggo i genitori, creo connessioni. Sarebbe brutto lavorare una vita e non vedere continuità nel concetto.”

 

Annalisa Ramos

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