Due anni fa Luigi di Maio, allora ministro degli esteri, promise una “verità in tempi rapidi” per Mario Paciolla, il 33enne cooperante dell’ONU trovato morto nella sua abitazione a San Vicente del Caguan, in Colombia, il 15 luglio 2020.
Due anni sono passati, e dalla verità non siamo mai stati così lontani. Le ultime notizie riportano la richiesta, da parte della procura di Roma, di archiviazione del fascicolo aperto contro ignoti per la morte di Paciolla. Stando a quanto riferito dai magistrati di Piazzale Clodio, non sussisterebbero elementi sufficienti a proseguire le indagini.
Eppure, le autopsie dei medici legali italiani avevano certificato altro: molte delle ferite trovate sul suo corpo sarebbero state inflitte quando il trentatreenne napoletano era già in fin di vita o, addirittura, post mortem. Prima di proseguire oltre, e di addentrarci in una delle storie più torbide degli ultimi anni, tessuta da intrighi internazionali e omertà diffusa, una riflessione è doverosa. Da dopo quelle dichiarazioni di Di Maio, Il governo italiano ha mantenuto un silenzio assordante sulla morte di Paciolla, un suo figlio che ha lasciato il Paese per andare in soccorso di chi aveva bisogno di aiuto e che è scomparso in circostanze mai chiarite. Ora, il rischio è che l’argomento scivoli nel dimenticatoio-epilogo piuttosto comune per casi di questo tipo- e che quella verità, sotto gli occhi di tutti ma che non può essere (ancora) dimostrata, rimanga sottaciuta per sempre.
L’unico modo che abbiamo per evitare che ciò accada è diffondere la sua storia, fare in modo che tutti sappiano chi è Mario e perché non è più con noi. Solo le pressioni dell’opinione pubblica possono costringere il governo a muoversi concretamente per scoprire la verità.
Chi è Mario Paciolla
Mario è nato a Napoli il 28 marzo 1987. Ama la sua città, ma allo stesso tempo la sua indole lo porta a guardare oltre la sua realtà, soprattutto in direzione dei più deboli, delle vite ai margini. Per questo, due anni dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche presso l’Università Federico II di Napoli, nel 2016 parte come volontario per la Colombia. Opera per la ONG Peaces Brigades International fino al 2018, quando comincia a collaborare con l’ONU. Il suo ruolo è quello di sorvegliare sul rispetto dell’accordo stipulato tra il governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionale della Colombia, da anni alla ricerca di un difficile equilibrio politico.
Le conseguenze della verità
Nel corso della sua esperienza all’ONU, Mario documenta alcuni bombardamenti ad opera del governo colombiano: dossier scottanti che certificano come in questi raid siano morti anche dei bambini. E’ significativo che l’ONU per diverso tempo abbia negato di aver mai registrato quegli eventi, salvo poi dover ammettere il contrario. In ogni caso, nel 2019 la pubblicazione degli stessi provoca il dissenso dell’opinione pubblica colombiana e le dimissioni dell’allora ministro della giustizia del Paese.
All’inizio dell’estate del 2020 ,però, qualcosa cambia per Mario. Nelle ultime conversazioni telefoniche con i familiari annuncia il suo ritorno, fissato per il 20 luglio, non nascondendo le proprie ansie: “ho discusso con i capimissione: mi vogliono fregare. Mi sono ficcato in un guaio”. La madre riferisce che fosse “terrorizzato”.
La morte di Mario
Poi, quel fatidico 15 luglio 2020, Mario viene trovato morto nella sua abitazione, legato per il collo ad un lenzuolo e coperto da diverse ferite. Qua bisogna aggiungere un particolare: quella casa non è data in dotazione dall’ONU, ma è Mario a pagare l’affitto. Si tratta di un dettaglio importante in quanto Christian Leonardo Thompson, il responsabile sicurezza della missione Onu nonché uno degli ultimi ad aver parlato con Mario, arriva sul posto poco dopo e gestisce la casa come fosse di sua proprietà. Infatti prende possesso delle chiavi di casa e ne regola l’accesso per i tre giorni successivi senza averne alcuna autorità. In queste 72 ore Thompson fa foto, prende campioni e requisisce alcuni oggetti personali di Mario. Questi ultimi sono caricati su un camion ufficiale dell’ONU e condotti ad una discarica nelle vicinanze, dove vengono eliminati. Thompson conclude il lavoro candeggiando casa di Mario con la varichina.
A questo punto, è probabile che vi siate già fatti una domanda più che lecita: dove sono le autorità colombiane in tutto questo? Sono là, in quella casa a San Vicente del Caguan, rappresentate da 4 poliziotti che si limitano a lasciar fare a Thompson ciò che vuole, inermi mentre la verità viene cancellata con un colpo di spugna.
L’autopsia
Dopo il ritrovamento è l’ONU a comunicare per prima alla famiglia la morte di Mario. In un secondo momento sempre l’ONU chiede l’autorizzazione per effettuare l’autopsia e aggiunge che vi prenderà parte un medico autorizzato, tale Pedraza. Quello che l’organizzazione internazionale non dice è che questo medico è anche il capo del dipartimento medico della missione della propria missione in Colombia. A questo punto viene effettuata l’autopsia da un medico colombiano e da Pedraza. Il referto arriva piuttosto rapidamente: si tratta di suicidio per soffocamento.
Il 24 luglio il corpo del ragazzo arriva in Italia per il secondo giro di autopsie, ma l’intero procedimento non segue la prassi. Il verbale della prima autopsia arriva con eccessivo ritardo-diverse settimane-ed è pieno di errori ed omissioni: mancano delle foto, le descrizioni delle ferite sono poco accurate e l’analisi del corpo pare approssimativa.
In verità sia le autorità colombiane che quelle italiane hanno mantenuto il massimo riserbo sulla vicenda. Quello che sappiamo lo dobbiamo a Claudia Duque, amica di Mario e giornalista colombiana, che ha reperito dei documenti delle autopsie italiane secondo i quali: “sebbene le coltellate sul cadavere potessero a prima vista essere classificate come autoinflitte, uno studio più dettagliato delle lesioni ha permesso ai medici legali di determinare che mentre le ferite del polso destro presentavano “chiari segni di reazione vitale”, nella mano sinistra mostravano “caratteristiche sfumate di vitalità”, o “vitalità diffusa”,a suggerire che alcune delle ferite potessero essere inflitte “in limine vitae o anche post-mortem”, cioè quando Paciolla era in uno stato agonizzante o era già morto».
Una storia che non fila
A quanto pare, l’analisi dei medici legali italiani non è bastata ai magistrati di Piazzale Clodio per portare avanti le indagini. Eppure le incongruenze sono molte, troppe. La famiglia si è dichiarata sconcertata dalla richiesta di archiviazione e ha tenuto a sottolineare un punto: perché si sarebbe dovuto suicidare appena prima del suo ritorno in Italia? In effetti il 20 luglio, ovvero cinque giorni dopo il presunto suicidio, lo avrebbe atteso un volo diretto verso Napoli. Perché andarsene così, ad un passo dal ritrovare i suoi familiari e senza lasciare un messaggio? Non è ragionevole.
In ogni caso, anche accantonando le suggestioni logiche che porterebbero a dubitare seriamente dell’ipotesi del suicidio, rimane aperta la questione del ruolo svolto dall’ONU. Perché ripulire la casa, gettare via gli oggetti personali di Mario e mantenere il silenzio per tutto questo tempo? Perché Christian Thompson, uno dei protagonisti di questa vicenda- e denunciato dalla famiglia di Mario, insieme ad un altro funzionario ONU e ai 4 poliziotti che quel 15 luglio erano sul posto- un anno dopo la morte del ragazzo è stato promosso a capo nazionale del Centro sicurezza ONU? Si tratta di un riconoscimento per il lavoro svolto in Colombia? Chi lo sa.
Verità per Mario Paciolla
Sono troppe le domande rimaste senza risposta: se non facciamo qualcosa adesso, probabilmente non l’avranno mai. Ciò che rimane è l’amore di una famiglia per il proprio figlio, di quelli che solo un genitore può descrivere, distrutto di fronte a segreti- che celano orrori-da mantenere. E nemmeno il dolore può trovare pace, annichilito dagli intrighi di politica internazionale che circonda di omertà questa triste vicenda. Da parte nostra, quello che possiamo fare è raccontare la storia di Mario, così che non venga dimenticata. Non possiamo rimanere indifferenti: Mario e la sua famiglia meritano rispetto, meritano la verità.
Daniele Cristofani