La figura e l’impegno di un grande maestro come Mario Lodi continua a interrogarci sui compiti della scuola e su “come” si insegna nel nostro Paese.
Mario Lodi nacque il 17 febbraio 1922 a Piadena, in provincia di Cremona. Oggi lo ricordiamo per tutto ciò che il suo pensiero ha introdotto all’interno del campo di saperi dell’insegnamento scolastico, e in generale dell’istruzione. Lodi è stato un pedagogista, un maestro, uno scrittore e un importante riformatore della coscienza scolastica nell’Italia del dopoguerra. Mario Lodi ha sentito l’urgenza di cercare di modificare sul piano metodologico l’insegnamento della scuola autoritaria postfascista.
Mario Lodi e la scommessa della relazione educativa
Noi giovani maestri inesperti, nel passaggio dalla dittatura alla libertà e dalla guerra alla pace, cercammo insieme di realizzare la democrazia a scuola e attraverso la scuola.
Quando Mario Lodi iniziò a insegnare si sentì “inesperto” rispetto al mondo dell’infanzia in cui si trovò a lavorare. Comprese da subito che l’incontro tra bambini e bambine con il maestro, e viceversa, doveva fondarsi sulla relazione educativa. Tale relazione educativa è un rischio, una scommessa come qualsiasi relazione umana.
Una relazione non è mai rassicurante: la classe è un luogo che si compone sempre di una moltitudine di bambini che hanno bisogni e problemi diversi. Qui si osserva una situazione in cui un maestro non sa quasi mai cosa può succedere, quali personalità avrà di fronte a sé. Ma davanti a questa realtà sconosciuta il maestro non può non tenere presente il singolo vissuto di ogni bambino, non può non “cominciare dal bambino”.
Cominciare dal bambino è il titolo di un libro di Mario Lodi in cui leggiamo che attraverso l’incontro tra bambini e maestro può avvenire l’apprendimento. La conoscenza dell’altro si verifica attraverso una prossimità che viene dalla ricerca di una reciproca autenticità. Il luogo della scuola deve accendere la relazione educativa nel segno della democrazia e del rispetto delle vite di tutti i bambini e le bambine.
Diritto allo studio è anche diritto ad avere un buon maestro
Nell’Art. 3 della nostra Costituzione leggiamo che tutti i cittadini sono uguali davanti alla Legge. Il compito della Repubblica è quello di eliminare gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona umana. La scuola deve assumere questo come suo ruolo fondamentale: rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza e il pieno sviluppo di ogni cittadino. Anche l’Art. 29 del testo della Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza è dedicato all’educazione: «Gli Stati parti convengono che l’educazione del bambino deve avere come finalità: favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità».
Non ci sono livelli o scopi prefissati da raggiungere attraverso l’insegnamento, ma ogni bambino e bambina deve possedere quegli strumenti con cui scoprire le proprie attitudini per dedicarsi specialmente a quelle. La scoperta di ciò che piace deve diventare un processo quotidiano per portare ogni bambino e bambina a sentire che i propri desideri e i propri pensieri hanno valore conoscitivo e piena dignità di espressione.
Andare in profondità, insomma, verso la qualità della conoscenza, non in estensione verso una quantità di briciole inutili.
Contro la scuola del nozionismo e dell’accumulazione Lodi puntava a una scuola della qualità. Proprio nelle singole esperienze deve rintracciarsi il punto di inizio di un percorso di crescita personale e collettiva che il maestro deve seguire “di lato”, al fianco di ogni bambino e bambina. A partire da queste considerazioni Lodi sperimentò l’applicazione di una nuova serie di tecniche didattiche. Qui citiamo le più importanti: l’uso della composizione scritta e individuale collettiva, il giornalino di classe stampato dai bambini, il racconto libero e il disegno spontaneo. Questa nuova metodologia doveva servire a stimolare una partecipazione ai contenuti della cosiddetta “educazione democratica”.
Il ruolo dell’insegnante contro i falsi valori della società contemporanea
Mario Lodi si è sempre interrogato a proposito dell’autorità, del ruolo del professore, della prospettiva con cui i bambini e le bambine guardano all’aula scolastica.
Questo silenzio della disciplina proveniente dalla mia autorità fa della mia scuola più un’aula di tribunale che una famiglia ideale. Ma abbattendo l’autorità, quale altro tipo di rapporto può sostituirla?
Lodi ha cercato con il suo lavoro di contrappore alla retorica del consumismo e dell’arrivismo la collaborazione, la solidarietà, la non-violenza. Su questo punto deve esistere una stretta collaborazione tra colleghi docenti, per cui deve essere eliminato il continuo osteggiare e lapidare ogni tentativo di cambiamento da parte di alcuni:
Il contenuto ideologico e il metodo autoritario sono espressioni di una scuola politica di classe che tende a formare uomini docili e passivi, possibilmente ignoranti sulle cose che scottano. Il maestro, in quel contesto, in mezzo a tante difficoltà, diventa senza accorgersene strumento del sistema invece di essere garante della formazione di uomini liberi. Distruggere la prigione, mettere al centro della scuola il bambino, liberarlo da ogni paura, dare motivazione e felicità al suo lavoro, creare intorno a lui una comunità di compagni che non li siano antagonisti. Dare importanza alla sua vita e ai sentimenti più alti che dentro gli si svilupperanno. Questo è il dovere di un maestro, della scuola, di una buona società.
La scuola deve ripensarsi come un contesto di senso, come un luogo in cui i bambini e le bambine si sentono compresi in un’esperienza significativa, non di ubbidienza e di oppressione ma di liberazione e di elaborazione dei propri bisogni e problemi. La relazione educativa e il rispetto dei diritti dei bambini costituiscono un bagaglio di verità fondamentali che Mario Lodi ci ha consegnato e che dobbiamo ripensare. Dobbiamo continuare ad approfondire le sue affermazioni e analizzarne il peso alla luce del reale problema del rapporto tra la scuola e le strutture economiche, sociali e politiche del Paese.
Di certo, l’insegnante non deve essere un depositario finanziato dalla società per trasmettere valori in cui la società di oggi si incarna. L’insegnante deve creare e sentire il bisogno di fondare le premesse della partecipazione dei ragazzi al superamento dei falsi valori su cui si struttura la società contemporanea. Gli insegnanti devono occuparsi del problema dell’uomo, cioè del problema di come si diventa persone e cittadini del mondo e non esseri oppressi e produttivi.
Carmen della Porta