Un passo avanti per il suicidio assistito in Italia: ora però l’assenza di una legge e la burocrazia mettono a rischio il diritto di Mario a morire con dignità.
Mario ce l’ha fatta. O, meglio, Mario ce la potrebbe fare: ha ottenuto il via libera per il suicidio assistito. Il paziente tetraplegico marchigiano di 43 anni che, tramite una lettera a La Stampa, aveva descritto la sua situazione come non più tollerabile ha ottenuto un primo risultato. Il Comitato Etico della Asl delle Marche ha infatti riconosciuto il diritto di Mario di porre fine alle sue sofferenze. Molti giornali hanno celebrato la decisione come una grande vittoria e un passo decisivo su un argomento che, in Italia, è ancora un tabù. Ed effettivamente non si può negare la portata dirompente di questo cambio di rotta, almeno a livello istituzionale.
Il rischio del rimpallo di responsabilità
Come sempre, però, se da una parte c’è la ragione di Mario a pretendere di vedere realizzata la decisione del tribunale, ora, la trafila burocratica e il rimpallo di responsabilità tra chi deve sbloccare la situazione, rischia di tradursi in un nulla di fatto. Dallo stesso parere del Comitato Etico, emergono infatti dei dubbi sul metodo da utilizzare: Mario infatti ha suggerito nella sua richiesta la modalità e la sostanza con cui provvedere al suicidio assistito. I destinatari, però, hanno arricciato il naso: su quali basi scientifiche, infatti, Mario si riferisce a quella sostanza e a quel dosaggio? Non ci sarebbero dati a supporto, fanno sapere dal Comitato Etico, perché Mario non si spiega con quali modalità si deve procedere alla somministrazione.
Chi deve decidere le modalità?
Quindi: c’è una persona tetraplegica da 10 anni che chiede di morire e ne ottiene il diritto, perché rispetta i requisiti stringenti della Corte Costituzionale. Poiché non c’è una legge precisa che specifichi modalità, dosaggi e sostanze, allora è come se il permesso non fosse mai stato ottenuto. In teoria si potrebbe fare, al lato pratico, invece, lo Stato non ti dice come. L‘associazione Luca Coscioni e lo stesso Mario, dunque, per quanto soddisfatti del parere positivo del Comitato Etico, sono consapevoli della “trappola burocratica” in cui rischiano di infilarsi: davvero è il paziente a dover fornire all’ente la lista delle prescrizioni necessarie per vedere realizzato il suo diritto a porre fine alla sofferenza?
“Ciò che la Regione non dice, nella sua precisazione, è che la responsabilità di definire delle procedure tecniche non è del malato, ovviamente, ma del Servizio sanitario, che però si rifiuta di farlo. Se necessario e se i tempi dovessero dilatarsi ancora, siamo pronti, ancora una volta, ad azionare tutti gli strumenti necessari per far rispettare il diritto di Mario a porre fine alle proprie sofferenze”.
Comunicato dell’Associazione Luca Coscioni in risposta alla Regione Marche
Nascondersi dietro a un dito
Definire le procedure tecniche, dunque, non può spettare al malato. Rifiutandosi di farlo, però, il Servizio sanitario si nasconde dietro a un dito e viola quanto stabilito dalla Corte Costituzionale, che ha previsto i quattro criteri necessari per accedere al suicidio assistito.
Ma la Corte non si è limitata a questo. Negli anni ha intimato al Parlamento di legiferare in qualche modo. Sul fine vita, infatti, non c’è una legge o meglio, come per la legge Zan, c’è un disegno di legge che è parcheggiato in Senato, a firma del Partito Democrativo e del Movimento 5 Stelle. Anche qui non ci sono sviluppi, perché i numeri di Palazzo Madama ostacolano qualsiasi discussione in merito.
L’irrinunciabile commento di una certa politica
Questa mattina, è proprio La Repubblica a riportare un quantomai esplicativo commento dell’avvocato Pierantonio Zanettin, capogruppo di Forza Italia per la Commissione Giustizia alla Camera: “La storia di Mario dimostra che non c’è fretta -afferma a Liliana Milella- i giudici decidono lo stesso“. Realisticamente, la discussione potrebbe tenersi il prossimo anno, ma l’onorevole è chiaro: “Bisogna evitare di esasperare i tempi”. Probabilmente, Zanettin intende che uno Stato che si dice civile, nel 2021, può stare benissimo senza una legge sul fine vita che ne chiarisca le modalità, ruoli e prescrizioni nel dettaglio, tanto comunque arrivano i giudici a fare il lavoro del Parlamento. Anche se così fosse, mentre i padri costrituenti eseguono dei carpiati nella tomba, la storia di Mario chiarisce esattamente il contrario: una legge sul fine vita serve, proprio perché altrimenti il Comitato Etico dell’Asl, che pure dà parere positivo, poi sostiene che sia il malato a dover chiarire le modalità con cui intende avvalersi del suicidio assistito e, non solo, possibilmente allegando anche i dati forniti dalla letteratura scientifica.
Nemmeno Kafka
Come se mi rompessi un braccio e, in assenza di una legge specifica sulla cura delle fratture scomposte, la Corte Costituzionale richiedesse la sussistenza di specifici requisiti per accedere alle cure. Scrupolosamente, nonostante il dolore lancinante, allora mi metterei a scrivere al Comitato Etico e a dire: “Vedete che ho bisogno di cure?”. Gli esperti dell’ente, a quel punto, dovrebbero constatare che sì, effettivamente il braccio è rotto e la paziente ha quantomeno bisogno di un gesso. Sì, ma un gesso di che tipo, cara paziente? E per quanto tempo? E ce l’ha, signora paziente, qualche articolo scientifico che dimostri l’efficacia di quel gesso? Eh, ce l’ha? Se non ce lo dice lei, siamo spiacenti, ma noi non possiamo fare nulla.
Non solo un braccio rotto
Capite, dunque, che la situazione non è solamente surreale, ma è pure estremamente dolorosa. Mario, infatti, non ha solamente un braccio rotto con cui convivere dovendo pure ascoltare le parole di chi dice che “Non c’è fretta”. Il Corriere della Sera riporta un racconto della cruda quotidianità di Mario, in attesa del suicidio assistito: immobile da 11 anni, nella stessa camera, completamente dipendente dall’assistenza di altre persone per nutrirsi e per lavarsi.
Ciò che gli è rimasto, dopo l’incidente che lo ha ridotto in questa situazione, è la vista, la parola e la lucidità, oltre a una leggerissima mobilità del braccio destro che riesce a poggiare sul telecomando della tv per a cambiare canale con il dito mignolo. Lui, di sè, dice che è molto felice di questa rivoluzione che è riuscito a fare stando immobile nel suo letto. E, invita quanti si professano ideologicamente contrari a tutto quanto riguardi l’eutanasia e il suicidio assistito a trascorrere con lui una settimana.
A quel punto, forse, anche chi dice che una legge non serve, che non bisogna accelerare, pardon, “esasperare” i tempi della giustizia, forse verrà il dubbio che di esasperante qui, ci sia solo l’ostinazione cieca del proprio ideologismo e della propria mancanza di empatia.
Elisa Ghidini