In vendita la lettera che Marilyn Monroe scrisse allo psichiatra, in cui descrive i maltrattamenti che subì durante la permanenza nell’ospedale psichiatrico
«Nessuna empatia nell’ospedale psichiatrico»
Frasi sofferenti si leggono nella lettera datata 1 marzo 1961, scritta da Marilyn Monroe e indirizzata al Dottor Ralph Greenson.
Dal prossimo novembre questa missiva di sei pagine, sarà in vendita all’asta.
La decisione di vendere questo oggetto prezioso composto di sei pagine, in copia carbone, scritto da Marilyn, è stata presa da Lee Strasberg, il maestro di danza della donna, a cui lasciò i suoi oggetti personali in eredità – spiega la casa d’asta Julien’s Auctions.
Norma Jeane Mortenson, in arte Marilyn Monroe, nacque nel giugno del 1926 e morì, presumibilmente suicida, a causa di un’overdose di barbiturici, il 5 agosto del 1962.
Icona di bellezza e al contempo fragilità, Marilyn Monroe è descritta dalla canzone di Elton John, Candle in the wind, proprio in questo suo essere dicotomico: impulsiva e mutevole.
In questa lettera, che presto sarà messa in vendita, si legge la descrizione dell’esperienza dolorosa vissuta da Marilyn nella clinica psichiatrica a New York.
«Non c’era nessuna empatia a Payne-Whitney, ha avuto un effetto molto negativo – mi hanno messo in una “cella” (intendo con blocchi di cemento e quant’altro) per pazienti molto disturbati, ma io mi sentivo come rinchiusa in galera per un crimine che non avevo commesso.»
(da www.ccdu.org)
Questa è una parte della missiva di Marilyn, in cui descrive il trattamento a cui la psichiatra Marianne Kris aveva sottoposto la star.
«Mi sono seduta sul letto, cercando d’immaginare cosa avrei fatto in questa situazione se mi fossi trovata a fare una recita improvvisata. Mi sono detta “La ruota che ottiene olio è quella che cigola più forte” – e devo ammettere di aver cigolato molto forte, ma l’idea mi era venuta dal film “La tua bocca brucia”: ho scagliato una sedia leggera contro un vetro, rompendolo. Ho dovuto picchiare parecchio per cavarne un pezzo di vetro, che poi ho nascosto nella mia mano aspettando che arrivassero.»
(da www.ccdu.org)
Qui la donna racconta che minacciò di tagliarsi con il vetro se non l’avessero liberata, ma nella lettera confessa che:
«Naturalmente lei sa, Dr Greenson, che non avrei mai fatto una cosa del genere: sono un’attrice e non mi sognerei mai di farmi un segno o cicatrice – sono abbastanza vanitosa.»
Qualche giorno dopo questo episodio, il suo secondo marito, Joe di Maggio la fece uscire dal manicomio.
Da queste righe si può percepire il dolore che visse Marilyn, che ancora oggi è considerata come una delle donne più affascinanti.
Il fascino di una bellezza senza pari, il fascino di un dolore che percorse Marilyn Monroe lungo tutta la sua breve vita.
Una personalità borderline (Baron-Cohen, 2012) quella di Marilyn Monroe, i cui genitori divorziarono a soli due anni dalla sua nascita i genitori, creando un vuoto nella vita della figlia che «ha sostenuto di non sapere chi fosse il suo vero padre» (Baron-Cohen, 2012).
Una vita segnata dalla sofferenza: la madre di Marilyn, Gladys, a causa del proprio stato di salute mentale affidò la piccola figlia a una famiglia, i Bolender, con i quali Marilyn visse fino ai sette anni. Durante questi anni, credette che quelli fossero i suoi veri genitori, fino a che le fu detta la verità. A sette anni tornò così a vivere con la madre biologica, con la quale stette solo due anni, fin quando la madre fu ricoverata in un ospedale psichiatrico e Marilyn affidata a un’amica, Grace.
Quando questa si sposò con un certo Ervin Goddard, Marilyn fu spedita prima in un orfanotrofio e poi in varie case-famiglia fino a che, due anni dopo, tornò a vivere con Grace, ma Goddard la molestò sessualmente.
Marilyn si sposò tre volte, il suo ultimo marito Arthur Miller, sposato nel 1956 la descrive così:
«Per me allora era una luce vorticosa, tutta un paradosso e un seducente mistero, ostinata e ribelle un momento, si sollevava poi a una sensibilità lirica e poetica che pochi conservano una volta passata la prima adolescenza.»
Rosten, 1973
Una personalità complicata e profonda quella di Marilyn, che non sopportava la solitudine e, infatti, in questa lettera, lamenta proprio una mancanza di empatia e un isolamento tremendo: un abbandono che non poteva sopportare.
Vanessa Romani