In tutto il Continente europeo, nessuna calamità e nessun attentato ha provocato un numero di vittime così alto come le tragedie consumatesi nelle acque del mar Mediterraneo, che resta la rotta più mortale per i migranti. Un recente studio pubblicato su Nature, ha confermato questa triste stima, smontando la falsa tesi secondo cui i salvataggi SAR incentiverebbero i flussi migratori irregolari.
“La ricerca e il salvataggio nella rotta del Mediterraneo centrale non induce alla migrazione”. Il titolo dello studio sui flussi migratori pubblicato su Nature, la più autorevole rivista scientifica del mondo, non lascia spazio a equivoci, confermando il Mediterraneo come la rotta più mortale per i migranti che cercano prospettiva di vita migliori.
Secondo il documento, prodotto da un gruppo di ricerca internazionale guidato da Alejandra Rodríguez Sánchez dell’Università di Potsdam e coordinato dallo statistico italiano Stefano Maria Iacus all’Università di Harvard, le operazioni SAR organizzate dalle navi di soccorso statali e delle organizzazioni umanitarie non favorirebbero in alcun modo l’immigrazione clandestina.
I dati raccolti dal gruppo di ricerca, indicano che le migrazioni attraverso il Mediterraneo centrale tra il 2011 e il 2020 potrebbero essere state determinate da fattori quali conflitti o condizioni economiche o ambientali, piuttosto che da operazioni di ricerca e salvataggio.
Per confermare scientificamente la propria tesi, i ricercatori si sono concentrati sul Mediterraneo centrale che rappresenta “la rotta migratoria irregolare più frequente e mortale verso l’Europa nell’ultimo decennio”.
Non esiste nessuna correlazione tra mezzi di soccorso e aumento dei flussi migratori.
Lo studio è partito dai dati raccolti dall’Organizzazione Onu per le migrazioni (Oim) che dal 2014 ha registrato 27.722 dispersi in mare. La documentazione utilizzata ha fornito informazioni sul numero di partenze, le barche riportate in Tunisia e Libia e le morti di migranti documentate.
Tramite una serie di simulazioni, il gruppo di ricerca ha quindi cercato di integrare i dati dell’Oim, isolando gli elementi in grado di prevedere al meglio le variazioni quantitative dei tentativi di attraversamento del mediterraneo centrale.
I ricercatori hanno preso in considerazione tre momenti principali. Primo: l’operazione Mare Nostrum guidata dall’Italia nel periodo dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014. Secondo: la ricerca e il salvataggio a cura delle organizzazioni umanitarie. Terzo, il più controverso: i respingimenti coordinati da parte della Guardia Costiera libica.
Dalle simulazioni è emersa l’assenza di una correlazione provata tra aumento delle migrazioni e tentativi di soccorso umanitario.
I risultati della ricerca contraddicono la narrazione politica sui “pull factor”
I ricercatori sono giunti a stabilire che “le politiche di respingimento hanno influenzato il flusso migratorio, ma che i periodi di ricerca e salvataggio non hanno prodotto una differenza discernibile tra il numero di tentativi di attraversamento osservato e quello controfattuale previsto”.
Per i ricercatori, l’ipotesi che indica la ricerca e il salvataggio come motore della migrazione irregolare non solo non troverebbe riscontro sulla base dei dati analizzati, ma sarebbe addirittura pretestuosa e tendente a manipolare l’attenzione dell’opinione pubblica, rappresentando le organizzazioni umanitarie in combutta con i trafficanti di esseri umani.
“Nonostante l’alta posta in gioco e la natura etica dell’affermazione del “fattore di attrazione” per le attività di ricerca e soccorso – scrivono i ricercatori nella loro analisi – le prove empiriche a favore dell’affermazione del “fattore di attrazione” sono scarse ma soprattutto metodologicamente compromesse.
Nel caso specifico dei respingimenti attuati dalla guardia costiera libica, lo studio ha evidenziato che “nell’intercettare e riportare in Libia le imbarcazioni a partire dal 2017”, la riduzione dei tentativi di attraversamento non ha prodotto un effettivo calo delle partenze, scoraggiando l’immigrazione. Per i ricercatori, la realtà scientifica fa emergere, invece, un dato diverso e molto più allarmante: la diminuzione delle partenze è coincisa “con le segnalazioni di un deterioramento della situazione dei diritti umani dei potenziali migranti in Libia, durante le intercettazioni e i rimpatri, nonché nei centri di detenzione”.
Lo studio ha quindi sconfessato la teoria dei “pull factor”, fondata su meri interessi politici e ideologici ma priva di evidenze scientifiche.
Eppure, fino ad oggi, le politiche di respingimento della maggior parte dei paesi europei, sono state imbastite con l’obiettivo di contrastare questi fantomatici “fattori di attrazione”, aggravando ulteriormente il numero di naufragi e di morti nel Mediterraneo che negli ultimi anni da mare nostrum è diventato un mare monstrum, un cimitero d’acqua al centro dell’Europa, dove la vita umana vale meno di niente.
Tommaso Di Caprio