“Mare fuori” è antitesi poetica del suo stesso titolo, come l’acqua, elemento senza struttura che abbraccia terre e luoghi. Potesse rimanere al di fuori della percezione di un posto isolato.
“Mare fuori” infatti vuole raccontare della ricerca di un senso di libertà che si desidera tra le strette mura di un penitenziario. Il prodotto di maggior successo della Rai, almeno in termini di serie-fiction (se non si vuol tornare troppo indietro magari a La Piovra) è proprio il format seriale ideato da Cristiana Farina che ha per protagonisti i giovani ragazzi di un IPM di Napoli, e liberamente ispirato alle mura del carcere di Nisida.
Otto milioni di utenti hanno goduto, nelle sole prime 24 ore delle sei puntate in anteprima sulla piattaforma Rai Play, numeri che farebbero impallidire anche la tv generalista in chiaro. Un gruppo di giovanissimi protagonisti che diventano beniamini del pubblico attraverso l’espediente chiave della detenzione (regole e rieducazioni, storie non facili, il contatto forzato nei luoghi della struttura che provoca frizioni e scintille sentimentali), ma il talento dei volti della serie va anche oltre offrendo profili di realtà assolutamente credibili, miscelano la verve della generazione Tik Tok, similitudini che fondano sulla prese di un linguaggio, tra hype e musicalità creando una sorta di flow rispetto alla generazione coetanea.
Un prodotto italiano che per potenza di scrittura e intensità di racconto, oltre che ovviamente per numeri di ascolto riesce quasi a concorrere con i giganti dello streaming estero, tra loro Netflix (il comparto italiano della potenza aziendale americana, ha infatti voluto la serie di produzione Rai nel suo catalogo online, un successo che l’ha vista in vetta tra le visioni degli utenti per 10 settimane). Una roboante escalation che parte dal mare fuori di quell’isoletta, appunto Nisida. Un luogo dalla meraviglia quasi incontaminata, un promontorio che spunta dall’acqua di origine vulcanica e guarda in viso il lungomare di Coroglio (zona di Bagnoli) e che si distacca dall’urbanità attraverso una lingua di terra di non facile accesso.
Un istituto rieducativo che sorge fin dagli anni ’30 e che mira appunto a un duro lavoro di redenzione sociale per questi ragazzi, spesso adulti precoci, attraverso corsi mirati, percorsi scolastici e di avviamento professionale. Tanti i napoletani, circa una quarantina attualmente nell’istituto (oltre a un limitato numero di stranieri e al reparto femminile), che hanno saggiato le insidie di periferie difficili o ambienti devianti e che diventano inconsapevolmente focus d’interesse dell’attualità mediale.
La scrittura narrativa ripercorre e integra una moltitudine stilistica che nel corso della storia ha creato grande interesse nel pubblico. Parte da una genesi di sceneggiata napoletana dove le storie cantate ruotavano attorno a uno schema fisso de “Iss, ess e ‘o malament”, una coppia intenta in un’appassionante storia d’amore che incontra le difficoltà di un cattivo di turno. A questo si unisce la vena romanzesca della fiction Rai che da vent’anni racconta storie in prime time e per ultimo, ma non ultimo, il forte impatto lessicale, ritmico e crudo di un racconto di strada in una sorta di moderna docu-fiction sul complesso rapporto tra i gruppi di giovani e quelle di rieducatori e personaggi che ruotano attorno alla quotidianità dell’istituto.
Non mancano nel corso della storia riferimenti che colpiscono per il loro indirizzo realistico, come il momento dell’uccisione con un proiettile a bruciapelo di uno dei personaggi marginali dell’ultima stagione, in seguito alla rapina di un orologio di lusso. L’episodio non può non ricondurci a uno degli avvenimenti di cronaca nera che ha diviso l’opinione pubblica, come quello della morte di Ugo Russo, adolescente colpito durante la rapina di un rolex da un agente fuori servizio e di cui apprendiamo le ultimissime di un procedimento penale ancora in corso.
Gli elementi tematici affrontati dalla serie potrebbero essere innumerevoli rispetto a contesti di realtà detentiva, come quello del crescente numero di suicidi in cella o del dibattuto e complesso tema della patria potestà da revocare rispetto a minori che si macchiano di crimini commessi dal mondo della microcriminalità. Quello degli anni, quelli scorsi, e del crescente numero di atti violenti commessi da baby gang soprattutto nell’area metropolitana napoletana. Resta quindi assolutamente viva l’attenzione nei confronti di una serie, che tra l’altro pare abbia addirittura già in cantiere la produzione di altre tre stagioni, e che vive di elementi di prese facile, come quello della passionalità in età giovanile, di slang linguistico e accattivante ritmicità musicale (curata tra l’altro da un grande professionista di cinema come Stefano Lentini). Anche però l’importanza al tema inclusivo, razziale oltre che sociale e sessuale (spunti toccati nella serie) e anche quello dell’inevitabile raffronto con episodi reali che feriscono il sistema civile o che comunque mettano a fuoco tutte le difficoltà del tema carcerario, oggi più attuale che mai, e quindi per coloro che vivono ogni giorno con il “mare fuori”.