Era il 17 maggio del 2015 e Marco Vannini si trovava a casa della fidanzata Martina Ciontoli, presso Ladispoli, quando alle 23 e 20 venne ferito da un colpo di pistola ( una beretta calibro 9).
Secondo la ricostruzione a sparare fu Antonio Ciontoli (padre di Martina), che,dopo un susseguirsi di versioni contrastanti disse al Pm quanto segue:
Mentre stavo uscendo dal bagno Marco ha riconosciuto il marsupio dove tenevo le armi e mi ha chiesto di vederle. Mi sono lasciato convincere. Con la mano destra ho estratto l’arma.
Nel movimento il marsupio mi stava per cadere e mettendo la mano sotto ho praticamente stretto l’arma e mi è partito un colpo.
Questo estratto della dichiarazione trasmessa dal servizio delle Iene, resa durante la deposizione del 2015, non ha convinto gli inquirenti.
Le bugie raccontate in questi anni dalla famiglia Ciontoli sono davvero troppe e fu proprio a causa di queste menzogne che il povero Marco Vannini perse la vita.
Ma Andiamo con ordine.
Secondo la verità processuale a sparare fu Antonio (il capo famiglia), sottufficiale della marina militare distaccato ai servizi segreti.
Il proiettile colpì Marco sul braccio(sotto la spalla) per poi attraversare torace, polmone destro e cuore conficcandosi in una costola.
Nel luogo del delitto erano presenti:
Maria Pezzillo (moglie di Antonio), I figli Federico e Martina (fidanzata di Marco) e Viola (la fidanzata di Federico).
Tutta la famiglia Ciontoli si trovava in casa al momento dello sparo, eppure nessuno di loro ha ammesso di averlo sentito.
Ero convinto del fatto che fosse stato un colpo d’aria.
Così ha dichiarato Federico durante l’interrogatorio.
La famiglia Ciontoli disse che Marco si trovava in bagno insieme a Martina e verso le 23 e 15 Antonio entrò per prendere le pistole che aveva lasciato nella scarpiera.
Egli,convinto di avere la pistola scarica, la impugnò, la puntò su Marco e premette il grilletto.
Successivamente si precipitarono tutti in bagno e Federico raccolse le pistole per portarle in sicurezza(vengono poi trovate sotto il materasso di camera sua).
Marco viene portato in camera da letto di Antonio e Maria, iniziano ad asciugarlo con un phon e lo rivestono.
Passano circa venti minuti dallo sparo e Federico chiamò il 118 una prima volta, senza fare alcun cenno del colpo di pistola, ma dicendo semplicemente :
Buonasera, mi serve urgentemente un’ ambulanza a Ladispoli, c’è un ragazzo che si è sentito male e di botto è diventato tutto bianco, non respira più.
Dopo qualche domanda da parte degli operatori del pronto soccorso, riaggancia informandoli che avrebbe richiamato.
Passano altri 25 minuti e questa volta è Antonio Ciontoli ad effettuare la chiamata:
E’ caduto e si è bucato con un …pettine quello a punta.
(durante la chiamata si sente Marco urlare)
Un’ora e mezza dopo lo sparo arrivò l’ambulanza e neanche in quel caso venne riferito agli operatori del 118 del colpo di pistola, così Marco viene trasportato in codice verde.
Alle ore 3 e 10 di quella notte Marco Vannini muore dopo una lunghissima agonia.
La sua morte è stata cagionata dalla continua omissione dei fatti da parte della Famiglia Ciontoli.
Come dichiarò il medico legale, Luigi Cipolloni, se avessero fin da subito comunicato al 118 la gravità della situazione , sarebbe stato richiesto un codice rosso per Marco.
Questo vuol dire che ,nel giro di un’ora dallo sparo ,avrebbe potuto essere trasportato immediatamente in sala operatoria e si sarebbe potuto salvare.
La famiglia Ciontoli viene accusata di omicidio volontario ed il Pm chiese 21 anni di carcere per Antonio e 14 per i familiari, ma con enorme stupore la sentenza di secondo grado diede un esito del tutto diverso:
5 anni ad Antonio Ciontoli per omicidio colposo, 3 anni per la moglie ed i figli, assolta Viola.
Oggi, 7 Febbraio 2020, i giudici della Suprema corte hanno accolto la richiesta dell’accusa e della parte civile, disponendo un nuovo processo d’appello per tutti gli imputati.
Così, dopo quatto lunghi anni, Marina e Valerio (genitori della vittima), possono tornare a credere nella giustizia.
E possiamo farlo un pò anche tutti noi.
Silvia Morreale