Marchionne, svolta Comunista

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Che in questo mondo ormai non ci siano più punti fermi, è assodato come il fatto che non esistono più le mezze stagioni, i valori di una volta ( che poi non si è mai capito bene cosa siano questi fantomatici valori scomparsi), non c’è più religione  (vivadio) e via discorrendo. L’unico cardine, l’unico punto fermo di questo mondo, fino a ieri era il sistema capitalistico. Da che mondo è mondo, o quasi, il pianeta è gestito in questo modo: C’è il padrone e c’è il lavoratore, o meglio,  ci sono i padroni e ci dovrebbe essere la classe operaia.  Poi ci sono figure mitologiche indistinte che stanno nel mezzo, poco funzionali per queste righe che sto scrivendo, quindi per ora non ne parleremo. Produci, consuma e poi crepa, questa è la logica del consumismo, del capitalismo. Nella logica del padrone, ogni vita è sacrificabile e tutti i mezzi sono leciti per ottenere il massimo del profitto. I primi ad essere sacrificati di solito sono i lavoratori. È sempre stato così. Questi ultimi, dopo anni di sacrificio, lotte e sangue versato per strada, erano riusciti a migliorare le loro condizioni di vita, erano riusciti ad avere uno statuto dei lavoratori invidiabile a livello internazionale, questo fino a che, un bel giorno, fece ingresso nel panorama automobilistico italiano, lui. Sergio Marchionne. Nel 2005 assume la piena guida della Fiat, ne diventa il ducetto, e da quell’anno in poi inizia a smantellare pezzo per pezzo tutte le conquiste dai lavoratori, spacca i sindacati, e mette gli stessi lavoratori gli uni contro gli altri con il ricatto che se non fossero state accettate tutte le nuove condizioni contrattuali, avrebbe chiuso gli stabilimenti qui in Italia per trasferire il lavoro in paesi meno esigenti in termini di diritti. Un vero padrone insomma, quello vecchio stampo, uno schiavista. Ebbene, questo signore che guadagna 55 milioni l’anno, davanti agli studenti del Luiss, ha avuto il barbaro coraggio di dichiarare : “Il perseguimento del mero profitto scevro da responsabilità morale non ci priva solo della nostra umanità ma mette a repentaglio anche la nostra prosperità a lungo termine. Per questo sono convinto che ci troviamo a un bivio cruciale. Creare le condizioni per un cambiamento virtuoso è la sfida del nostro tempo”  proprio lui che ha tagliato le pause nei stabilimenti Fiat, pause essenziali per evitare incidenti specie sulle catene di montaggio. Ha poi proseguito : “la forza del libero mercato in un’economia globale è fuori discussione. Nessuno di noi può frenare o alterare il funzionamento dei mercati e non credo neppure sia auspicabile,questo campo aperto è la garanzia per tutti di combattere ad armi pari. E’ l’unica strada per avere accesso a cose che non abbiamo mai avuto prima. Ma l’efficienza non è – e non può essere – l’unico elemento che regola la vita. C’e’ un limite oltre il quale il profitto diventa avidità e chi opera nel libero mercato ha il dovere di fare i conti con la propria coscienza “.  Dichiarazione da far accapponare la pelle, se si pensa da che pulpito provengono. Vincenzo Mastellone, operaio del Gruppo Fiat allo stabilimento di Pomigliano, iscritto a Fiom Cgil, ci racconta delle drammatiche battaglie fatte fuori ai cancelli dello stabilimento, degli scioperi fatti per colpa dei peggioramenti che un uomo che adesso parla di ” coscienza ” ha imposto ai lavoratori.  “La Fiat è stata sempre un punto di riferimento per le aziende italiane – ci spiega Mastellone – quindi, tutte le altre aziende, hanno preso spunto dal contratto che Marchionne ha imposto ai lavoratori Fiat, ed hanno esteso ai loro lavoratori lo stesso tipo di contratto . Per non parlare degli anni e anni di cassaintegrazione “. Sul perché secondo lui Marchionne ha fatto quel discorso,  ci risponde : Marchionne rappresenta il potere, e quando i potenti fanno dichiarazioni che nessuno si aspetta è perché vuole spostare l’attenzione e lo fa in modo plateale. Il discorso di Marchionne è uno specchietto per le allodole”. A margine dell’intervento al Luiss, Marchionne ha anche espresso il suo intento di votare Sì al referendum. Giustamente, da buon innovatore, non poteva che fare altrimenti…

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