Attraverso le asserzioni di Moscovici e Dombrovskis, che hanno respinto la manovra economica e reclamato al governo italiano la riformulazione di una nuova versione, è pervenuta la posizione pubblica della Commissione europea sul DEF del governo targato Conte, Di Maio e Salvini. Il risultato è che il contenuto generato dalla contrattazione tra il governo italiano e la Commissione potrebbe risultare molto differente rispetto a quello presentato pochi giorni fa.
Che la Nota di Aggiornamento al DEF del governo Conte costituisca una novità rispetto alle manovre degli ultimi anni lo hanno già detto e scritto in tanti. La filosofia che guida il documento è quella di utilizzare il debito pubblico per rilanciare la domanda interna ed anche i consumi, contravvenendo ad una delle regole base dell’UE sulla riduzione del debito ed il contenimento della spesa. Ma questa posizione non può essere sbandierata ai quattro venti e poi sempre più ridimensionata nel corso delle trattative. Già, rispetto alla prima stesura annunciata alla stampa, il rapporto debito/PIL al 2,4% è stato limitato al solo 2019, con significative riduzioni per i due anni successivi, mentre in un primo tempo si era dichiarato di voler mantenere quella percentuale per tutto il triennio. E questo concretamente significa minori investimenti pubblici per miliardi di euro ed un forte indebolimento di tutta la manovra. Ora, le prime dichiarazioni del governo dopo la risposta ufficiale della UE, lasciano intendere la disponibilità a rivedere ulteriormente al ribasso la manovra, magari mettendo mano alle misure più attese dai settori popolari, ossia il rialzo delle pensioni al minimo e l’introduzione del reddito di cittadinanza.
In tutti questi anni a governare la politica economica del nostro paese è stata una sorta di pilota automatico, sia che fosse al governo Berlusconi o il Pd oppure tecnici come Monti. Ora il governo gialloverde manifesta la volontà di interrompere questa abitudine mortificante ma il rischio evidente è che tutto si risolva in frasi roboanti e apparenti braccia di ferro, e che la manovra alla fine risulti più la sintesi di promesse mancate che l’inizio di una nuova fase.
Del resto i condizionamenti della Commissione europea sono già ben presenti nella attuale stesura del DEF. Pur avendo introdotto margini di flessibilità nella gestione del debito ben più ampi di quelli concessi dalle regole europee, il governo Conte ha comunque previsto interventi limitati sia sul fronte delle pensioni che sul tema del reddito. Certo, finalmente si registra uno stop al periodico innalzamento dell’età pensionabile, ma l’intervento previsto con quota 100 andrà a favore di una platea limitata. Per il reddito è innegabile che i 10 miliardi annunciati sono superiori di cinque volte a quelli stanziati per il REI dal governo precedente, ma è altrettanto evidente che le persone che beneficeranno della misura non saranno i 6 milioni e mezzo annunciati, ma solo poco più di un milione.
La manovra peraltro non risente solo dei vincoli europei, ma anche delle contraddizioni tra le forze al governo. Il sostegno ai settori sociali più in difficoltà viene subordinato ad obblighi e condizioni che trasformano la disoccupazione in una colpa e la manovra economica viene accostata ad altre disposizioni (vedi il Decreto Salvini) finalizzate ad una regolazione autoritaria della società. La stessa enfasi adottata nel tornare a dare centralità all’amministrazione pubblica non è utilizzata per rimettere al centro i diritti sociali ma come strumento di disciplinamento della società. La nuova centralità riconosciuta ai Centri per l’Impiego, per esempio, non serve a contenere l’influenza del mercato nelle modalità di assunzione ma a controllare il disoccupato che percepisce il sussidio.
E poi c’è il capitolo del fisco. Da una parte c’è un po’ di ossigeno per chi muore di debiti, ma sul piatto dall’altra parte compare l’ennesimo condono. E soprattutto è stata fugata ogni preoccupazione sulla possibile introduzione di una patrimoniale sui redditi da capitale e sui grandi patrimoni, mentre all’orizzonte resta lo spettro della flat tax che rappresenterebbe un ulteriore attacco al sistema di tassazione progressiva.
La manovra del popolo l’hanno soprannominata i leader del governo e così la sbandierano contro le ingiunzioni dei tecnocrati UE. Ma una manovra del popolo richiederebbe ben altro, a cominciare da un vero piano di rinazionalizzazione delle aziende strategiche. Servirebbe una scelta chiara a sostenere le ragioni di chi in questi anni ha subito gli effetti delle politiche di austerity imposte dall’UE e non una manovra contraddittoria e la disponibilità di rivederla al ribasso. E una manovra per il popolo rispettando i vincoli dei Trattati europei e rimanendo dentro l’euro è semplicemente impossibile.
Lo scenario che ci aspetta nei prossimi mesi non è brillante. Il governo continuerà a sbandierare la sua opposizione ai vincoli UE ma avrà il coraggio di sfidare I diktat dell’Unione Europea?