“Manifesto”, parole d’ordine della nuova generazione: io, qui, adesso

Come può una generazione artistica definirsi tale, o anche solo sperare di esistere, se tutto intorno rimane fermo?

Questa è la domanda da cui nasce “Manifesto”. O meglio, la domanda da cui si scaturiscono le riflessioni dei nove autori che firmano il testo.
Pubblicato da Fandango, il libro racchiude le storie di nove promettenti autori e artisti del panorama italiano.



ManifestoNati fra il 1985 e il 1999, gli autori spaziano dalla narrativa classica al racconto illustrato, da quello in versi al personal essay. Lo fanno scovando ciascuno una via personale ed inedita che porta ad un punto d’incontro comune. Il fil rouge che percorre tutti i testi è infatti una risposta generazionale alle incertezze del presente. Un presente, tanto precario dal punto di vista sociale e civile, i cui effetti finiscono inevitabilmente per ripercuotersi nel mondo dell’arte.

Che fare, dunque, se non provare ad immaginare il presente partendo dal futuro? E’ questo l’intento di “Manifesto”, così come lo descrive il suo curatore, Iacopo Barison.
Sfumare i confini delle diverse forme artistiche, dalla musica ai fumetti fino alla stand-up comedy,  per “descrivere ciò che abbiamo vicino come se fosse un’isola
da scoprire”.
A dare il loro contributo: nomi conosciuti come Jonathan Bazzi, autore di “Febbre”; Michela Giraud, una delle più celebri stand-up comedian della nuova generazione; Giacomo Mazzariol, autore di “Mio fratello rincorre i dinosauri” e membro del collettivo Gram. Ma anche il gruppo musicale Tutti Fenomeni e l’illustratrice Zuzu. Ed infine, l’autore Alessio Forgione e le scrittrici Eleonora Caruso ed Ilaria Gaspari.

Manifesto dell’educazione sentimentale

Cosa potrebbero raccontare i ragazzi di oggi se non gli effetti collaterali che il periodo attuale ha sul modo di vivere i sentimenti?
E’ un atto coraggioso, una presa di coscienza che comincia dal racconto di Iacopo Barison. L’autore ci fa muovere, come all’interno di una mappa, tra le tappe successive alla fine di una relazione: acquistare un pacchetto di sigarette dopo anni di astinenza da fumo, prenotare un tavolo singolo al ristorante, finire in un club d’intrattenimento per soli adulti.

E’ poi il turno di Jonathan Bazzi che dipinge una relazione fra due ragazze vissuta al tempo della quarantena. Un dipinto neorealista che ritrae una storia fragile, tenuta in piedi non dall’amore ma dalla dipendenza, come quella che lega le protagoniste all’eccessivo consumo di alcolici.

Ed ecco ora a ripetermi ancora, di nuovo: è normale appoggiarsi all’alcol, un segreto di molti. E se non è l’alcol, è il cibo, il sesso, le serie tv, lo shopping, il volontariato, le
chiese. Ognuno ha il suo cunicolo per l’ottundimento, il suo scivolo verso il proprio privatissimo male minore. Niente di cui preoccuparsi. Bere è una passione originaria
e intergenerazionale, criticata, punita nei giovani perché praticata alla luce del sole – non se ne vergognano, a differenza di quel che fanno gli adulti. Un segreto di molti: il
bicchiere è sempre là anche quando la psicoterapia non funziona o ti mancano i soldi o il coraggio per andarci.

Ancora diverso è il sogno d’amore descritto da Giacomo Mazzariol. Un sogno che non conserva nulla del fiabesco “e vissero tutti felici e contenti”.
E se quelle precedenti sono storie giunte al termine o consumate dal tempo e dalle cattive abitudini, Alessio Forgione racconta invece una relazione agli albori, divisa tra passione ed insicurezza.

Manifesto di una generazione capace di reinventarsi

Eleonora Caruso narra in prima persona il tentativo di decluttering della sua vita. Una buona abitudine, un esperimento di automiglioramento per ordinare lo spazio e l’esistenza. Una prova che non tutti sono destinati a superare.

Le piante grasse sono quelle più facili da mantenere, a detta di tutti. Ma la protagonista del racconto di Ilaria Gaspari non riesce proprio a capirle. Non si capacità del perché non abbiano bisogno di acqua o di cure. E questo suscita in lei un’irrimediabile avversione. Eppure in fondo, quell’avversione non è altro che una consapevolezza: le piante grasse potrebbero essere il perfetto correlativo oggettivo della sua vita.

Mi sembrava stupido credere che sul serio potessero non aver bisogno di niente, e le ho trattate come le altre. Le ho annaffiate.
Ero io, d’altronde, allora, quella che ripeteva a tutti di non aver bisogno di niente; come se rade parole malmostose potessero far spuntare anche a me, come ai miei cactus in miniatura, spunzoni appuntiti, spine per tener lontani tutti, per non rimanere più delusa.

Il contributo di Michela Giraud è caratterizzato dall’ironia che la contraddistingue. Un resoconto della sua vita, arrivata alla soglia dei trentatré anni, applicabile a tutta la generazione di cui Giraud fa parte. Una generazione in bilico tra le origini difficili da abbandonare ed un futuro incerto per cui è complicato porre le basi, diffidente verso le generazioni più anziane e schiacciata dalle prospettive che gli altri fanno pesare su di loro.

Si guarda sempre a chi si crede stia meglio e si cerca un po’ di tirargli i capelli per cercare di fargli voltare lo sguardo verso di noi, ma alla fine la verità è che, al di là
dei capri espiatori, le nostre ansie hanno tutte lo stesso colore.
Il colore degli obiettivi mai raggiunti, della paura del fallimento, di non aver trovato la persona giusta, di aver passato dieci anni con un’altra persona e poi guardarsi allo
specchio e pensare “e adesso che facciamo?”.

E non poteva mancare la riflessione su una delle incognite più pressanti per la nuova generazione: il lavoro. L’ansia di misurarsi con la vita professionale degli altri, le preoccupazioni sulla propria carriera e sulle temibili conseguenze che il fallimento potrebbe riservare. Timori ed angosce ben descritte dalla penna di Ginevra Lamberti.

Le pagine successive sono dedicate ai versi di Tutti Fenomeni. Racchiusi in una filastrocca che parla di Roma, Gerusalemme e Alessandria.
Ed infine, la raccolta si conclude con la bambina disegnata da ZUZU. Una bambina che beve acqua e zucchero, mentre impara a dare per la prima volta un significato alla parola “paturnie”.

Carola Varano

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