“Lʼaborto è la prima causa di femminicidio nel mondo”, questa è la scritta che campeggia sul manifesto anti-aborto in via Salaria a Roma. Ad affiggerlo è stata CitizenGo, fondazione sorta in Spagna ma affermatasi ben presto anche in Italia, legata agli estremisti Prolife.
Le dichiarazioni di CitizenGo:
A rivendicare il gesto è stato Filippo Savarese, direttore delle Campagne di CitizenGO Italia, che ha dichiarato:
«Negli ultimi anni le istituzioni hanno denunciato con sempre maggior forza il fenomeno dei femminicidi e della violenza sulle donne, ma ci si dimentica di dire che la prima causa di morte per milioni di bambine (così come di bambini) nel mondo è l’aborto, che provoca anche gravissime conseguenze psicologiche e fisiche per le donne che lo praticano».
Dunque, stando a quest’affermazione, le donne sarebbero colpevoli di femminicidio nei confronti delle (eventuali) bambine da loro abortite (e quindi mai nate). Innanzitutto, cosa c’entra l’aborto con il femminicidio? Assolutamente nulla. Non si può mettere in correlazione una donna che decide di porre fine ad una gravidanza con un uomo che uccide la fidanzata, la compagna, la moglie o una ragazza che non si è voluta sottomettere a lui. Non c’è alcuna correlazione tra le due cose. In secondo luogo, sfatiamo uno dei luoghi comuni su cui le varie associazioni antiabortiste e prolife fanno perno per affermare che l’interruzione di gravidanza sia sbagliata: l’aborto non è un omicidio, né un infanticidio. Far pesare sulla coscienza di una persona un peso gravoso (e inesistente) è più che mai scorretto. Inoltre, citare le conseguenze psicologiche e fisiche affrontate da quante hanno fatto ricorso all’aborto non è assolutamente giusto.
Portare a termine una gravidanza è e deve essere una decisione legittima e libera per qualsiasi ragazza o donna. Nessuno sa cosa si provi di fronte ad una simile scelta, pertanto sarebbe consigliabile evitare qualsiasi commento sul dolore fisico o emotivo da sopportare; tali commenti potrebbero influenzare chi si appresta a praticare un aborto, fungendo da deterrente. Certamente, le pazienti devono informarsi ed essere informate sui possibili rischi e sulle eventuali conseguenze, ma non in questo modo e non da chi ha tutto l’interesse dal distoglierle dal praticare un’interruzione volontaria di gravidanza. Sì, ci sono stati alcuni casi di pazienti morte a seguito di un aborto andato male, ma anche portare a termine una gravidanza comporta dei rischi, a causa di emorragie, infezioni e altri imprevisti. E comunque i progressi in ambito medico stanno via via diminuendo i rischi, anzi, proprio grazie alla Legge 194 e alla regolamentazione dell’aborto, è stato possibile combattere il fenomeno degli aborti clandestini, che però purtroppo persiste.
Siamo nel 2018 e c’è ancora chi ritiene legittimo e sacrosanto criticare l’aborto e non solo ha fatto affiggere questo manifesto anti-aborto, ma ha anche in programma una “marcia per la vita” per il prossimo 19 maggio, sempre a Roma. Difatti, CitizenGo ha fatto sapere:
“Ora abbiamo una ampia campagna in tutta Italia, perché per ogni manifesto strappato si alzeranno migliaia di nuovi manifesti, iniziative, marce”.
Manifesto anti-aborto: polemiche sui social
Non appena la foto del manifesto anti-aborto è stata diffusa sul web, centinaia di commenti si sono levati contro questo disgraziato cartellone. A mobilitarsi è stata la rete per i diritti femminilie, Rebel Network, che sul suo profilo Facebook ha scritto:
“Chiediamo a Virginia Raggi di intervenire immediatamente per far rimuovere questo vergognoso manifesto, affisso in via Salaria a Roma da uno dei gruppi a nostro parere pro-odio e contrari alla libertà di scelta delle donne. Chiediamo a tutte le associazioni e a tutte le persone che intendono sostenere le nostre azioni a sostegno della Legge 194 e della libertà femminile (questa inclusa), di sottoscrivere questo post con il proprio nome e cognome. Serve essere unite e uniti contro questa campagna di disinformazione e di odio. Oggi più che mai”.
A supportare la richiesta di rimozione del manifesto è anche la senatrice del Partito Democratico, Monica Cirinnà, che ha scritto:
“Una campagna falsa e disgustosa. Rimuoverla subito. Intervengano istituzioni e tutte le forze politiche a difesa delle donne e di una legge dello Stato”.
La difesa di CitizenGo
Ma CitizenGo si appella alla libertà di parola e di espressione, affermando che contro di loro sia “in atto il tentativo di censurare e silenziare chi afferma la verità sull’aborto, che sopprime la vita di un bambino e ferisce gravemente quella della donna. Rivendichiamo il diritto di opinione ed espressione tutelato dalla Costituzione“. Ma la libertà di parola ed espressione non è dire e scrivere tutto quello che ci pare e piace, senza pensare alle eventuali conseguenze. Era successa la stessa cosa alcune settimane fa per il manifesto affisso da ProVita ritraente un embrione nel grembo materno, poi rimosso a seguito delle feroci critiche giunte da più parti. Le associazioni antiabortiste rivendicano tanto dei diritti che loro per prime negano di fatto alle ragazze e alle donne. Dire che l’aborto equivale ad un infanticidio o ad un femminicidio significa dare delle assassine a delle donne assolutamente innocenti. Non spetta forse alle donne decidere cosa fare del proprio utero? Non spetta alle donne dire se e quando vogliono dare alla luce un figlio, senza per questo essere giudicate da dei perfetti sconosciuti? Non è l’aborto la prima causa di infanticidio al mondo, bensì l’ignoranza, quella propagandata da CitizenGo e ProVita che, pur di affermare le proprie (errate) convinzioni, pubblicano foto di pancioni ed embrioni con scritte del tutto false.
Carmen Morello