L’ambiguità di alcuni partiti rispetto ai temi della guerra in Ucraina e delle sanzioni alla Russia è ormai cosa nota. Da una parte abbiamo Salvini che, alle domande dei giornalisti riguardo le sanzioni, risponde -marzullianamente- con un’altra domanda, la cui risposta è diretta ad insinuare tra i telespettatori il dubbio che, in fondo, sono soltanto un boomerang. Dall’altra abbiamo Giuseppe Conte, tronfio del suo successo elettorale, che oggi si riscopre pacifista, dopo anni da in premier in cui ha elogiato l’operato delle nostre forze armate. Da qualche giorno l’ex premier invoca una manifestazione per la pace senza sigle né bandiere, così inclusiva che “anche chi è di destra può partecipare”. Sarà l’occasione per milioni di italiani per esprimere la loro contrarietà al conflitto-mentre, è questo l’implicito, il resto d’Italia è guerrafondaio.
Il partito trascinato dalle correnti
Anche il cavallo indomito del PD, il governatore della regione Campania Vincenzo de Luca, ha seguito la scia pentastellata ed ha indetto una grande manifestazione a Napoli per il 28 ottobre. Aldilà del governatore campano, che corre da solo la sua corsa verso una destinazione indecifrabile, la questione di partecipare o meno alla manifestazione per la pace sta spaccando ulteriormente un partito già diviso.
Che il PD sia trascinato alla deriva dalle sue correnti interne non è una notizia, ma che queste riescano a mettere in dubbio la liceità dell’invio di armi e delle sanzioni, uno dei suoi pochissimi punti saldi, forse, lo è. La posizione di Letta in merito è sempre stata chiara, gliene va dato atto. La sconfitta elettorale subita, però, ha fatto crollare quella parvenza di unità che sembrava esserci quest’estate. Ora le faglie si sono riaperte e chi vuole riavvicinarsi al Movimento 5 Stelle non si nasconde più. D’altra parte, è anche una questione di opportunità: lasciare mano libera a Conte significa abbandonare definitivamente quell’elettorato di sinistra che, almeno fino a qualche anno fa, trovava nel PD il suo riferimento politico.
Il PD e la pace non vanno d’accordo
La situazione è tanto complicata quanto dirimente. Il 6 ottobre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione non vincolante sull’invasione russa dell’Ucraina. Se ne è molto parlato in questi giorni a causa di una fake news secondo la quale gli europarlamentari del PD avrebbero espresso voto contrario ma, come riporta il sito pagellapolitica.it , la verità è che tutti i 14 parlamentari del PD hanno votato a favore della risoluzione.
Si sono invece divisi su un emendamento, poi bocciato, proposto da due parlamentari irlandesi del gruppo della sinistra, Clare Daly e Mick Wallace. I due hanno sempre avuto posizione ambigue sul conflitto, al punto che, a marzo, hanno votato contro la risoluzione che condannava la guerra voluta da Putin. Per quanto riguarda l’emendamento del 6 ottobre, si chiedeva di inserire nella risoluzione di “vagliare tutte le potenziali vie per la pace e a proseguire gli sforzi per porre immediatamente fine alla guerra”. Otto parlamentari del PD hanno votato a favore, mentre cinque si sono espressi in modo contrario.
Il fatto che non ci sia stata una linea comune sull’emendamento è di per sé indicativo. E’ evidente che il tanto proclamato sostegno incondizionato all’Ucraina non è più così scontato. Il PD si trova di fronte ad una scelta politica da cui dipenderà il suo futuro: dovrà decidere se orientarsi verso il centro, in ossequio alla narrazione politica degli ultimi mesi, o se “riscoprirsi” partito di sinistra e pacifista. Magari con un altro nome, anche se Letta nega lo scioglimento del partito; magari insieme ai 5S, anche se Conte risponde picche alle proposte del segretario dem di costruire un’opposizione compatta; magari con un altro segretario, e questa è l’unica cosa sicura.
La “mandrakata” di Letta
Nel frattempo, Letta prova a eliminare l’associazione semantica “pace-Giuseppe Conte” con una mandrakata: giovedì 13 ottobre ci sarà un sit-in davanti all’ambasciata russa per chiedere il cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina. In questo modo, il segretario spera di diventare il simbolo della pace e di ricompattare il PD, compresa la sua ala più di sinistra. Avrà gli effetti sperati? Vedremo. Intanto, quella che si prospetta è una guerra politica dove ci sarà un solo vincitore: il più pacifista.