Oggi Luigi Mangione sarà chiamato per la prima volta in tribunale in Pennsylvania per discutere i suoi 11 capi d’imputazione: tra questi, l’accusa di terrorismo. In questa stessa settimana, Daniel Penny, l’ex-marine che un anno fa ha tolto la vita ad un senzatetto, viene dichiarato innocente e rilasciato. Evidentemente negli USA la legge non è uguale per tutti.
Luigi Mangione un terrorista?
Luigi Mangione è il 26enne arrestato per l’omicidio di Brian Thompson, CEO di UnitedHealthcare, avvenuto il 4 dicembre. Mangione, che per il momento si è dichiarato innocente nonostante le prove contro di lui siano schiaccianti, è stato ribattezzato dall’opinione pubblica come il giustiziere, il vendicatore di quella (enorme) fetta di società americana a cui le compagnie assicurative come quella diretta da Thompson rifiutano il rimborso per l’assistenza sanitaria. Vendicatore di una società di ineguali, in cui, a conti fatti, se sei ricco vivi, se sei povero muori.
Tralasciando tutti gli aspetti da film hollywoodiano del caso Mangione, di cui abbiamo già discusso in un recente articolo, è chiaro come in questa vicenda ci sia un vero problema centrale: quello della giustizia, o ingiustizia in effetti.
Mangione uccide e commette un’ingiustizia per vendicarne un’altra, per vendicarne tante. E ora, portato di fronte alla Corte, ritroverà la conferma di ciò che con il suo gesto voleva criticare: che la giustizia negli Stati Uniti non è un concetto unitario, ma anche quella, come l’accesso alla sanità, dipende dalle tasche di chi la richiede o di chi è coinvolto. Tra gli 11 capi d’imputazione che il 26enne ha sulla testa ce n’è uno di primo grado, l’accusa di “omicidio a scopo terroristico”.
Leggiamo su Treccani la seguente definizione di terrorismo: “L’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili.”
Chiaramente tutto è ancora da discutere in tribunale, ma resta il sospetto che si tratti di un’accusa forzata per imputare a Mangione l’omicidio di primo grado, per far sapere a tutti che se agisci contro personaggi come Thompson sei un terrorista perché stai dichiarando guerra allo stato, e forse per mettere in chiaro alle milioni di voci sul web che sostengono l’assassino che questa è una partita persa, che dopo il suo gesto estremo nessuna lotta sociale verrà innescata.
Che Mangione debba essere giudicato per il presunto omicidio di un uomo è legittimo. Che l’omicidio si discuta come se si fosse trattato di un attentato per via dello status economico e politico della vittima è tendenzioso. Che questo avvenga in concomitanza temporale con il rilascio di Daniel Penny è un’ipocrisia giudiziaria. Vediamo perché.
Daniel Penny eroe nazionale?
Dal dipartimento di polizia dello stato di New York tuonano sul caso Mangione: “Quello a cui stiamo assistendo è una celebrazione scioccante e spaventosa di un omicidio a sangue freddo. Ma qui non celebriamo gli omicidi e non glorifichiamo l’uccisione di nessuno”. Esilarante.
Torniamo a lunedì scorso, quando un altro 26enne, Daniel Penny, veterano della marina americana, è stato assolto per l’omicidio di Jordan Neeley avvenuto il 1 maggio 2023 in una stazione della metro di New York.
I fatti ricordano purtroppo tremendamente l’assassinio di George Floyd: Neeley, 30 anni, era un senzatetto che faceva imitazioni di Michael Jackson nella subway newyorkese. Quel giorno stava importunando alcuni passanti gridando che aveva fame, aveva sete, non aveva un lavoro. Era evidentemente una persona disperata che tuttavia, come affermato da Juan Alberto Vázquez, un giornalista freelance che assistette alla scena, non stava minacciando nessuno fisicamente.
Penny per “legittima difesa di sé e degli altri passeggeri” intervenne aggredendolo alla schiena con una stretta al collo che durerà secondo alcuni 6 minuti, secondo Penny meno di 5, quanto basta per strappare la vita ad una persona che probabilmente aveva solo bisogno di aiuto. Anche lì, e forse ci ricorderà qualcosa, chi circondava la scena cominciò ad urlare “You’re gonna kill him now!”, “Lo stai uccidendo”. Ma lui non pensava di ucciderlo. Non lo pensano mai.
Il caso, che da noi ebbe meno risonanza, divenne un affare mediatico in cui molti, anche dal mondo della politica, presero le parti di Penny giudicandolo come il “buon samaritano” che agì per il bene di tutti.
Neeley non era certo uno stinco di santo e aveva alle spalle una lunga serie di denunce, ma il suo omicidio rimane purtroppo un ennesimo caso di abuso di potere, di violenza razziale (sì, Neeley era afro-americano), di giustizia privata che in teoria i “valori occidentali” non dovrebbero ammettere. In pratica però pare di sì: se ad essere assassinato è un afro-americano senzatetto, la giustizia “fai-da-te” viene celebrata nei talk show, addirittura omaggiata dallo stesso presidente Trump che, insieme al vice-presidente Vance, ha avuto l’onore di invitarlo alla Casa Bianca per guardare insieme una partita di football.
Sembra surreale? Non lo è. È solo il ritratto di un paese in cui se uccidi un ricco sei un terrorista, se strangoli un poveraccio sei un eroe.