Mangiare sano in Italia non è un privilegio delle famiglie povere: i dati dell’ISS

mangiare sano

Secondo il sistema di sorveglianza PASSI, la mancanza di disponibilità economiche non aiuta le famiglie a mangiare sano. Evidente la correlazione positiva tra povertà e cattive abitudini alimentari, nonostante alcune recenti affermazioni delle nostre istituzioni.

“Da noi spesso i poveri mangiano meglio dei ricchi, cercando dal produttore l’acquisto a basso costo, spesso comprano qualità”.  Quanto affermato dal Ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, in occasione del Meeting di Rimini sul tema della sicurezza alimentare, ha aperto un acceso e controverso dibattito sul mangiare sano. Tuttavia, indipendentemente dalla politica e dal marketing, a parlare sono i dati raccolti dal PASSI dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e relativi ad una serie di indicatori considerati interessanti per l’indagine.




Obesità

Stando ai risultati tratti da un campione di over 69, il 35,6% della popolazione con difficoltà economiche è in sovrappeso, contro il 31% delle persone benestanti.  Sulla base del titolo di studio, si evidenzia una condizione di peso eccessivo rispettivamente nel 42% dei cittadini con la terza media, nel 31,5% dei diplomati e nel 26,9% dei laureati. Invece, si parla di obesità nel 17% di chi ha difficoltà economiche contro l’8,7% delle persone più abbienti e una tendenza simile si osserva anche valutando il grado di istruzione.

La distribuzione delle persone con tale patologia non è omogena sul territorio, in quanto si registrano i numeri più alti nelle Regioni del Sud (Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria), mentre la Valle d’Aosta vince il premio di esempio virtuoso.

Diabete di tipo II

Patologia ampiamente diffusa in Italia e spesso legata ad abitudini alimentari errate,  colpisce l’8,2% della popolazione povera rispetto al 3,6% di chi non ha problemi economici. Analogamente, osservando il titolo di studio, si evidenzia una percentuale in crescita partendo dai laureati (2,5%) sino ai possessori del titolo scolastico di primo grado (16%).

A differenza di quanto visto con l’obesità, in questo caso specifico non emerge un gradiente geografico caratteristico tra Nord e Sud. Tuttavia, il Meridione tende comunque sempre ad avere valori peggiori rispetto al Settentrione.

L’attività fisica

Se le disponibilità economiche non influenzano la scelta del metodo di trasporto, a piedi o con mezzo privato/pubblico, il livello culturale ha invece un peso importante. Difatti, preferisce camminare il 35-37% della popolazione con licenza media, contro il 44% dei laureati. Tale discrepanza cresce se l’attenzione viene riposta sull’attività fisica vera e propria, praticata soprattutto dalle persone con maggiori disponibilità economiche (43%), rispetto a chi non ha possibilità (25%).

Ancora una volta le Regioni meridionali, in primis la Campania, mostrano i valori peggiori circa la sedentarietà.

Benessere e alimentazione

Ad oggi si investe molto sul diffondere una corretta educazione alimentare, soprattutto da quando la scienza ha dimostrato, e continua a confermare, quale ruolo abbia il cibo nell’insorgenza di alcune patologie. Infatti, negli ultimi tempi l’approccio delle persone, almeno alcune, all’acquisto dei prodotti alimentari è sensibilmente cambiato in termini di attenzione e cura nella scelta. Tuttavia, indipendentemente dall’avere delle buone conoscenze sull’argomento, non tutti possono ancora permettersi una dieta di qualità per sé e per la propria famiglia.

Mangiare sano costa

Lo dimostrano i dati sui prezzi delle materie prime, ma anche le indagini epidemiologiche, secondo le quali i più benestanti, tendenzialmente i laureati, invecchiano meglio e investono nella prevenzione. Ad esempio, in un campione analizzato di over 65 la percentuale di persone sane ha raggiunto il 45,2% tra i più abbienti, mentre per i poveri si è fermata al 26%.

Dunque, l’immagine bucolica del contadino che mangia sano perché attinge solo dal proprio orto è ormai anacronistica e non fotografa la realtà dei nostri tempi.

Fast food

Sebbene si pensi sia nato nei primi anni del Novecento in America, il “cibo veloce” affonda le proprie radici nel mondo egizio e, infatti, i primi antenati dei fast foods sono state delle bancarelle su strada specializzate nella vendita di pesce fritto.

Facendo un ampio salto cronologico, si arriva all’avvento della rivoluzione industriale, cui seguì decenni dopo il boom economico, che portò a ritmi di lavoro sempre più intensi e all’impossibilità, spesso, di mangiare sano. Dunque, i fast foods hanno cominciato presto a riempire le strade, riscontrando un incredibile successo con la vendita di piatti pronti e preconfezionati.

Junk food

In breve tempo le abitudini alimentari dei lavoratori nel Continente Nuovo sono drasticamente cambiate, trascinando poi anche l’Europa e il resto del mondo. Nella patria della cucina, l’Italia, bisognerà aspettare il 1981 per vedere il primo Burghy a Milano, che ha rivoluzionato completamente il modo di consumare i pasti fuori casa.

Comodo da preparare e decisamente gustoso, il junk food viene incontro agli stili di vita frenetici della società attuale, ma non ai nostri reali fabbisogni energetici. Inoltre,  trattandosi comunque di alimenti poco sani per l’organismo, a partire dal secolo scorso l’incidenza di alcune patologie come l’obesità, il diabete e l’ipertensione è aumentata in modo statisticamente significativo e preoccupante.

Rapporto qualità-prezzo

Poco sano, ma anche molto economico e questa correlazione inversamente proporzionale fa comodo alle famiglie meno abbienti. Un problema purtroppo già noto da tempo, che trova riscontro anche se lo si osserva da un punto di vista socio-culturale. Infatti, in linea generale non avere la possibilità di conseguire titoli di studio superiori comporta una maggiore probabilità di fare lavori usuranti e meno redditizi, cui segue di conseguenza un’oggettiva difficoltà nell’accedere ai prodotti di qualità.

Al contrario, se mangiare sano costa, i fast food non richiedono spese importanti e, difatti, aprono soprattutto nelle zone di periferia, dove possono implementare i guadagni e “aiutare” le famiglie in difficoltà con soluzioni pratiche.




Una cultura alimentare

Negli ultimi tempi le conoscenze sul mondo della nutrizione sono indubbiamente cresciute non solo nella realtà accademica, ma anche tra il grande pubblico. Complice indubbiamente il ruolo dei media, oggi si parla tanto di educazione alimentare sia per prevenire eventuali problemi di salute sia per aiutare l’ambiente.

Laddove c’è una cultura alimentare, spesso la stessa viene trasmessa all’interno del nucleo familiare, affinché le generazioni future facciano proprie determinate abitudini e le trasmettano a loro volta. Tuttavia, questa tendenza si osserva anche nei contesti sociali più critici dove, purtroppo, le pubblicità ingannevoli hanno molta presa sulle persone, soprattutto sui giovani.

Non solo il reddito

Lo stipendio ha un peso sulle scelte alimentari, ma non è l’unico fattore ad influenzare come e cosa mangiamo, motivo per cui diviene necessario investire anche su altro, così da provare ad osservare un cambiamento. Ad esempio, è fondamentale migliorare costantemente l’istruzione sin dalla prima infanzia e garantire eque condizioni di lavoro a tutti i dipendenti, senza distinzione sul reddito. Inoltre, soprattutto alla luce delle nuove evidenze scientifiche, sarebbe urgente una riqualificazione dei centri urbani, affinché le città diventino sempre più sostenibili e fondate su un principio di prevenzione piuttosto che di intervento e quindi di cura.

Lascia che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo.

Lo diceva Ippocrate nel lontano IV secolo a.C., quando ancora la scienza aveva decisamente pochi mezzi e osservare era davvero spesso l’unica fonte preziosa di aiuto. Nel tempo la medicina è diventata altamente specializzata e tuttora, fortunatamente, continua a progredire implementando lo scibile di ogni disciplina specialistica.

Tuttavia, in questa estrema ricerca del particolare, si rischia di perdere la visione olistica della persona ignorando la componente relazionale fra le parti che la compongono. Una leggerezza dagli effetti potenzialmente catastrofici poiché focalizza l’attenzione sul problema e non sulla causa, limitando il potere della prevenzione, che spesso comincia proprio dai banchi del supermercato.

Carolina Salomoni

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