Leggevo delle lettere che erano stato pubblicate su una testa giornalistica nazionale. A scrivere sono due mamme esauste. Esauste perché l’unica cosa che hanno al mondo sono i loro figli.
All you need is love, recitavano i Beatles.
Ma i figli non li cresci solo con l’amore.
Un bambino o una bambina hanno bisogno di affetto, ma per diventare grandi le cure che vanno loro riservate non sono solo carezze e coccole. C’è l’asilo, c’è la “pappa”, ci sono quegli abiti che dopo un mese vanno già stretti. E poi medicinali, pannolini… Le mamme ne sapranno sicuramente più di me: l’ultimo bambino che ho incrociato era in una serie televisiva.
Nonostante la giovane età, capisco il dramma di mamme perseguitate dall’idea che da sole non potranno farcela. Magari perché il loro compagno non è al loro fianco. Magari perché la pensione dei genitori è insufficiente a garantire le necessità primarie per lo sviluppo di un lattante. Magari perché il lavoro non c’è, sussidi nemmeno.
C’è solo la paura, la paura di non riuscire ad andare avanti.
Leggo, un po’ sospesa e un po’ incredula, di queste mamme che, nonostante il timore, pretendono di essere ancora delle rocce per i loro bambini. Stringere i denti e mettersi in gioco per non arrendersi è una scelta coraggiosa. Ma il fallimento è più vicino quanto più lo si scongiuri.
Non voglio entrare nel merito delle questioni familiari delle due mamme che hanno denunciato la loro condizione nelle lettere aperte. In fondo, il loro status è comune a tante altre realtà che vivono la maternità come una lotta perpetua. E proprio perché si tratta di un disagio collettivo, vale la pena comprenderne le cause…
Per soddisfare tutte le necessità di un bambino si ha bisogno di almeno due stipendi.
Quante mamme single esistono? Quante mamme hanno rinunciato al lavoro o sono state licenziate per il semplice desiderio di diventare tali? Il noto bonus bebè che andrebbe incontro a questi casi di indigenza, mi sembra rientri più nella politica del consenso che in un vero e proprio programma di sostegno sociale.
Per le mamme con un’occupazione esiste poi il problema legato a strutture, persone, professionisti a cui affidare il bambino durante le ore lavorative. Gli asili nido hanno lunghissime liste d’attesa e costi a volte molto elevati per chi non possiede uno stipendio che li possa sostenere. L’incertezza a raccomandare un bambino, incapace di difendersi, a terze persone è alimentato dai numerosi casi di cronaca che fanno emergere i discutibili metodi “educativi“ di maestre e baby-sitter.
Affidare i bambini alle cure dei nonni allora è l’unica soluzione? In un periodo in cui i nonni lavorano ancora, contribuendo al mantenimento dell’indigente famiglia, è possibile?
La mia intenzione non è quella di ritrarre un dipinto a fosche negative. Penso che bisogna chiedere alle mamme di oggi di stringere i denti. E di non perdere mai la speranza.
Citando una delle due mamme: “Arrivo in fondo alla giornata e tiro un sospiro di sollievo perché almeno per quel giorno… ce l’ho fatta“.