Durante la pandemia, un richiedente asilo marocchino, in un centro di detenzione per migranti a Malta, ha scritto una poesia. Poche parole che rivelano la sofferenza di tanti uomini reclusi in condizioni che violano la dignità personale, in un territorio dove dilagano il razzismo e la xenofobia.
Una voce per tutte
«Al mattino desidero essere liberato e la sera comincio a piangere. In questo Paese gli schiavi vengono venduti come farina». Con queste parole, crude e sentite, riversate su un foglio improvvisato (il retro di un modulo di bonifico alla Western Union), un migrante denuncia il dolore della detenzione a Malta. Proveniente dal Marocco, l’uomo sogna una morte serena piuttosto che una vita fatta di solitudine, desolazione e tortura. La sua voce vale per migliaia di richiedenti asilo in Europa che si sono ritrovati confinati nell’Isola.
Il centro di detenzione di La Valletta era già sovraffollato prima della pandemia, ma dal 2020 le condizioni dei migranti hanno sperimentato un inarrestabile declino. Per farsi un’idea basta ascoltare le testimonianze di coloro che sono stati rilasciati: un clima di ostilità, tentativi di suicidio quotidiani, mancanza – strategica – di informazioni e gravissime violazioni dei principali diritti umani. Un quadro critico che torna a porre, con forza, la questione dell’accoglienza.
L’inferno della reclusione
Nel 2020 i migranti salvati e condotti sulle coste maltesi sono stati 2281. Di questi, circa la metà è stata trattenuta. E con il Covid-19 a esacerbare dei problemi preesistenti, l’eco dei maltrattamenti ai danni dei detenuti ha raggiunto il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT). Il sopralluogo non ha lasciato dubbi: almeno cinque aspetti erano in conflitto con l’Articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Positivi al virus tenuti insieme agli altri, persone – perché di persone stiamo parlando – rinchiuse per settimane intere senza poter uscire, totale incuria delle norme igienico-sanitarie; uomini che non conoscevano il motivo della loro reclusione, altri che non sapevano quando avrebbero ottenuto il lasciapassare.
Se è vero che nel corso dell’anno le richieste di asilo erano state superiori alla media, tanto da spronare il governo di La Valletta a chiedere supporto all’Europa, è altrettanto vero che «Lo Stato non può venir meno al suo dovere di assicurarsi che tutti i migranti detenuti siano trattati con dignità e tenuti in condizioni umane e sicure. Ciò non è emerso al momento dell’ispezione». Così il CPT ha condannato l’inferno del centro.
Intolleranza
A gravare ulteriormente sulle condizioni disperate dei migranti, per le strade di Malta e per le autostrade – considerando la velocità di diffusione – dei social network si aggiunge la discriminazione nei loro confronti. Una miscellanea di razzismo e xenofobia si sprigiona a ogni nuovo sbarco. Accusati di mentire, di non essere in fuga dalle guerre, di essere diversi e non rispettosi della legge, i migranti sono strumentalizzati e sottoposti a una costante gogna sociale.
Sono molti gli attivisti contro i flussi in arrivo a lamentare la mancanza di spazio, il timore della criminalità dei clandestini e l’impossibilità di integrazione tra abitanti locali e stranieri. Un urlo di odio che comunità su Facebook e movimenti di estrema destra in piazza ergono a bandiera dell’orgoglio maltese. I paladini dell’intransigenza rispetto ai migranti condividono anche un altro nemico: l’Europa, che sarebbe evasiva di fronte alle richieste di intervento.
Così, mentre i detenuti finiscono preda dei trafficanti, «venduti come farina», la loro presenza diventa occasione per battaglie politiche. Il rischio è dimenticare che il migrante è, prima di tutto, un uomo. E l’uomo sogna solo di essere libero.