La Fiera di Roma ha ospitato la Maker Faire Rome 2019, evento concernente l’artigianato digitale e promosso dalla Camera di Commercio di Roma – con la sua Azienda speciale Innova Camera. Quel che è stato presentato è sinonimo di “futuro”, “progresso” e, soprattutto, “qualità della vita”. Per un versante, ci hanno preso in pieno; basti pensare alle protesi: estensioni robotiche capaci di restituire almeno il 90% delle funzionalità fisiche; chi è stato soggetto ad amputazione, potrà ritrovare un tenore di vita “regolare”, perlomeno da un punto di vista psicofisico. L’argomento, ricorderà il lettore, venne affrontato in passato e si discusse a lungo sulla concezione etica di tali invenzioni.
A proposito di “etica”, mantenendo un sguardo generale, resta ancora qualche piccolo dubbio; e no, non trattiamo la questione dei costi, tema tuttora inequivocabilmente fondamentale. Parliamo di contorni: per esempio, l’attuale contorno della Maker Faire è Roma. La capitale è lontana anni luce da ciò che si potrebbe identificare come progressismo; Roma è la stessa città che trova difficoltà nell’offrire ai propri cittadini un mezzo pubblico puntuale o traffico sopportabile; è la stessa città che naviga nell’immondizia, problema tale da scoraggiare il più onesto dei cittadini. È inoltre la città dei disguidi politici, della facile predica, del qualunquismo ed il populismo sfrenato; dei comizi fuori luogo e spacciati per qualcosa di molto lontano dalla trasparenza e dignità politica.
Non è il caso tuttavia di parlare solo di Roma. La città è un esempio, ma che descrive perfettamente il forte contrasto tra il concetto di “futuro” e la realtà circostante. Buona parte del paese milita nelle stesse condizioni, la capitale è solo un microcosmo. Tralasciando infatti alcune città del nord, protese verso un’idea di Europa economicamente e socialmente più completa, una fetta considerevole del nostro bagaglio regionale annuisce attonito alle “sventure” dello stivale.
Mentre la Maker Faire ci mostra le potenzialità di un esoscheletro indossabile – per compiere i lavori estenuanti del disegno industriale – il lavoratore italiano non ha neanche la certezza di varcare la soglia di un bar.
Antonio Bicchi, presidente dell’Istituto di Robotica e Macchine Intelligenti (I-Rim), afferma: «il futuro e’ proprio la robotica per le persone, una robotica collaborativa»; ma collaborativa in che termini? Quale sarebbe il filo conduttore tra un cittadino italiano ed il futuro? Di base, un sistema malconcio non è proiettato al futuro, ma più che altro a tappare dei buchi. Ed è ben nota, immagino, la frase che recita: il futuro si costruisce nel presente. Uno sguardo “oltre la siepe” può certo ispirare, aiutare, ma anche essere frainteso. Il criterio è importante, poiché esso non può prescindere dal suo risultato.
Anche l’Italia è solo un microcosmo, a sua volta. Guardiamoci intorno.
La cosiddetta concezione progressista vigente non è – paradossalmente – incline a identificare la gravità della problematica ambientale; il tema ha assunto delle fattezze popolari controproducenti e disarmanti, nonostante l’ampia gamma di mezzi d’informazione a disposizione. Una delle figure più influenti, a livello mondiale, Presidente degli Stati Uniti d’America, afferma che l’effetto serra non esiste.
I giochi di potere e gli scambi di “battute” sono all’ordine del giorno, tra un approccio bellico e l’altro; la vita di migliaia di persone dipende dai capricci di qualcuno o da assurde lettere, infarcite di protagonismo e mancato senso etico.
E mentre la Maker Faire mostra orgogliosa i prodigi della realtà aumentata, i cittadini di Hong Kong e Cile lottano nel mondo reale per uno straccio di dignità umana, massacrandosi tra loro al cospetto di rappresentanti impassibili.
Qual è il significato di futuro? Il punto è questo.
Non confonda il lettore tale articolo per un semplice sfogo, tant’è che appare chiaro la poca precisazione di alcuni episodi citati – comunque conosciuti e facilmente reperibili. Il mio obiettivo è sottolineare e snocciolare quella che, a mia modesta lettura, è l’idea di progresso: “qualità della vita”; un’espressione che fin troppo ha perso il suo spessore, cedendo il proprio posto allo schematismo becero e semplificato. Il cittadino del mondo 2019 è frutto di tutto questo; non ha voglia di comprendere, non ha voglia di empatizzare; ha voglia di gridare il suo disagio, ma lo fa superficialmente, confondendo contesti, cenni storici, dando adito ad estremismi poco azzeccati e svilendo le certezze scientifiche di anni/secoli.
Non sa dove si trova, come dovrebbe vivere; riconosce solo gli impulsi esterni: sfaccettature, specchietti per le allodole e quel qualcuno al di sopra di lui come “libertà e salvezza”, benché spesso palese fulcro di espedienti sconclusionati. Che si descriva un macrocosmo o un microcosmo, il mondo sta annaspando; i conti non tornano e l’idea di futuro è molto lontana dall’essere una realtà. Perché se tanta attenzione viene dedicata al macchinario, altrettanta bisognerebbe garantirne all’habitat che lo ospita; pochi saranno coloro che ricorderanno il motivo per cui, ai giorni nostri, affondare fosse tanto semplice; pochi saranno quelli che si porranno domande sul perché “futuro”, in fondo, fosse solo una parola.
Eugenio Bianco