Mahsa Amini: cosa è cambiato in Iran a un anno dal suo omicidio

Mahsa Amini

background of the flag of Iran. The concept of power, power, conflict. With place for your text.

Mahsa Amini veniva uccisa dalla polizia morale per non aver indossato correttamente il velo: dopo un anno esatto, cos’è cambiato in Iran?

Esattamente un anno fa, il 16 settembre 2022, Mahsa Amini moriva per mano della polizia morale a Teheran perché indossava “in modo improprio” l’hijab. A causa di quel tragico evento, numerosi manifestanti iniziarono a protestare nella città natale della ragazza, Saqqez. Rapidamente, le proteste e l’indignazione invasero l’Iran, supportate anche dallo sdegno della comunità internazionale. Il governo iraniano reagì bloccando l’accesso a internet e ai social media, e cercando al contempo di attribuire la causa delle rivolte a Stati stranieri, nel tentativo di manipolare la massa e distoglierla dal dissenso generale.

I risultati di un anno di proteste

Dopo un anno di mobilitazioni, sono morti più di 500 manifestanti, tra cui 60 minori, mentre circa 20000 sono stati arrestati. Oltre a ricordare coloro che hanno perso la vita e quelli che l’hanno rischiata, occorre non dimenticare la brutalità dei metodi con cui il regime ha messo in atto la sua repressione. Tra il gennaio e il febbraio del 2023, infatti, circa 200 persone hanno perso un occhio o la vista. Le milizie iraniane avevano l’incarico di colpire al volto o agli occhi i manifestanti con proiettili di gomma. Lo scopo era quello di “marchiare” per sempre i rivoltosi, in modo da poterli riconoscere facilmente.

Se il regime ha cercato di reprimere con la forza e con ogni mezzo il dissenso, nulla ha potuto e può contro il potere silenzioso e inviolabile delle rivolte simboliche. Dalla famosa ciocca di capelli tagliata in segno di solidarietà nei confronti di Mahsa Amini, non si contano i gesti e le proteste silenti. Solo per citarne qualcuno: le fontane tinte di rosso sangue, i canti provenienti dai tetti e dalle finestre delle case, gli hijab rimossi e bruciati dalle donne, i turbanti fatti cadere dalla testa dei capi religiosi iraniani, il bacio tra i due giovani nel traffico di Shiraz, e tanti altri.



Repressioni vecchie, metodi nuovi

Dall’altra parte del fronte, Ebrahim Raisi ha pervicacemente ribadito come l’obbligo di indossare l’hijab non sia una restrizione voluta dal governo, ma risieda nella Sharia. Nell’aprile del 2023 ha poi annunciato una sorveglianza più serrata per il rispetto di tale dovere, attraverso l’utilizzo delle telecamere per il controllo del traffico. Questa drastica riforma è stata poi “notificata” a circa un milione di donne, le quali hanno ricevuto un SMS di avviso delle pene previste in caso di trasgressione: multa, confisca della patente, del passaporto e della macchina.

Nel corso degli ultimi mesi, la repressione ha soltanto cambiato tono e forma, ma non si è placata. Sebbene infatti gli agenti non indossino più il simbolo della “polizia morale” sulle loro divise, continuano i pattugliamenti per controllare che l’hijab sia indossato. Mentre le proteste si insinuano nei muti schemi del simbolico, anche le misure restrittive sono diventate più sottili. Si registrano, infatti, numerose espulsioni o sospensioni di donne dall’università, così come casi in cui è stato negato l’accesso a servizi bancari o di trasporto pubblico. Inoltre, tra i personaggi pubblici che hanno deciso di esporsi contro il regime, una famosa attrice, Afsaneh Bayegan, ha scelto di protestare mostrandosi senza velo. A causa di ciò, è stata prontamente condannata a due anni di sedute psicologiche in una clinica psichiatrica.

L’Iran oggi: un anno dopo Mahsa Amini

Un anno dopo la tragica morte della ragazza curda, l’Iran è un paese diverso.

Le fiamme delle proteste che per mesi hanno travolto un’intera nazione, divampando e propagandosi fino a vette inimmaginabili, non hanno lasciato solo cenere e detriti, dissolvendosi, ma anche tanta luce. Una luce intensa e inedita, capace di investire coscienze sopite, fornendo nuovi scenari. D’altronde, una rivoluzione come quella del 1979 non era pronosticabile, perché, sebbene il dissenso odierno sia anche maggiore di quello dell’epoca, manca un’ossatura, un’organizzazione capace di sovvertire il regime, fornendo un’alternativa solida. Le proteste, però, proprio grazie al loro vigore, hanno creato le giuste circostanze perché un rovesciamento nel prossimo futuro si verifichi. Il dissenso, infatti, sta man mano acquisendo una forma sempre più consistente, essendosi insinuato nei luoghi più inaccessibili e pericolosi per il regime: le coscienze della gente.

La disobbedienza civile ha infatti surclassato le semplici proteste di piazza. Questo mutamento delle consapevolezze è testimoniato anche da una delle fondatrici dell’associazione “Donne libere iraniane”, avvocata e attivista per i diritti umani, Zahra Toufigh:

“La repressione delle autorità non si è attenuata ma si è inasprita. […] A mutare è la consapevolezza sociale. Adesso nelle piazze vediamo quello che stavamo aspettando: l’appoggio delle famiglie che supportano i loro figli e le loro figlie. Anche se non protestano apertamente, appoggiano i giovani nelle loro rivendicazioni: questa è una conquista molto importante”

Ed è proprio questa la conquista più grande dei manifestanti dopo un anno di rivolte: l’aver fatto breccia anche in coloro che non si opponevano al regime, mutando consapevolezze e togliendo un notevole consenso al potere del governo iraniano. Naturalmente, nonostante ciò, ancora in molti continuano a sostenere le azioni e le regole imposte da Raisi. Basti guardare il video di un uomo che qualche mese fa lanciò dello yogurt addosso a delle donne senza il velo.

Sebbene sia impossibile credere che questo mutamento d’opinioni (che le proteste hanno causato in molti) coinvolga tutti gli iraniani, è importante constatare come la rivoluzione non si sia mai sopita, ma che in realtà, attualmente, stia vivendo soltanto la sua infanzia.

Raffaele Maria De Bellis

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