Tra maggio e giugno 1968, la città di Parigi venne scossa da violente proteste e numerosi scioperi di studenti e operai: un vero e proprio movimento politico, culturale, sociale, che oggi chiamiamo Maggio francese e che diede il via a contestazioni analoghe in tutta Europa. Quella che sembrava a tutti gli effetti una rivoluzione, però, ben presto si rivelò un’illusione effimera di cambiamento destinata a estinguersi in breve tempo.
«Vietato vietare!», «Siate realisti, chiedete l’impossibile», «Potere agli studenti!». Questi alcuni degli slogan che caratterizzarono quelle settimane di lotta, in Francia, contro il potere costituito (perché «il potere è un abuso e il potere assoluto è un abuso assoluto»), contro le università e contro i padroni.
Furono mesi in cui il popolo francese, dagli studenti, agli operai, agli intellettuali, conobbe e respirò aria di rivoluzione, ma la mancanza di una progettualità di fondo e l’assenza di piani a lungo termine da applicare nella fase post-rivoluzionaria causarono la fine di quello che possiamo definire il più importante movimento di protesta nella Francia del XX secolo.
L’intero movimento europeo del Sessantotto affonda le sue radici in quello statunitense, sbocciato qualche anno prima: dall’università di Berkeley, nel ’64, era nata una messa in discussione generalizzata del sistema di insegnamento universitario, che si unì a proteste contro la guerra nel Vietnam, contro la discriminazione delle persone nere e lo sfruttamento dei lavoratori.
La ribellione divenne collettiva ed eterogenea, e i venti di contestazione giunsero oltreoceano ad abbracciare, per prima, proprio la Francia.
Il “movimento del 22 marzo” in preparazione al Maggio francese
Nanterre, 22 marzo 1968. Più di 600 studenti tra anarchici e di estrema sinistra protestarono per richiedere il rilascio di sei attivisti arrestati mesi prima durante una protesta contro la guerra nel Vietnam. 150 studenti occuparono alcuni locali dell’università, e venne redatto un manifesto poi pubblicato su Le Monde con le rivendicazioni degli occupanti: lotte operaie e anticapitalismo, anti-imperialismo, critica al sistema universitario.
La potenza di quel movimento generò a Nanterre altri focolai di protesta, sempre di matrice studentesca, durante il mese di aprile. I ragazzi che avevano fatto parte del Movimento del 22 marzo, capitanati dal leader filo-anarchico ben noto alle forze dell’ordine Daniel Cohn-Bendit, si unirono agli studenti della Sorbona, che invano avevano tentato l’occupazione di alcuni locali dell’università, mettendo in allarme il corpo docenti e la stampa locale.
L’epicentro della contestazione si spostò quindi, all’inizio del mese di maggio, proprio alla Sorbona, nel centro di Parigi.
Parigi: il cuore pulsante della “fase studentesca” della rivoluzione
Il 3 maggio 1968, circa 400 studenti della Sorbona e di Nanterre riuscirono a occupare l’università parigina in nome di quegli stessi ideali anti-autoritari che avevano dato vita al Movimento del 22 marzo. Così iniziò quella che storicamente si definisce la “fase studentesca” del Maggio francese.
Il rettore non tardò a chiamare le forze dell’ordine per sedare i rivoltosi. Pietre e spranghe di legno furono usate contro i manganelli della polizia: furono più di 500 i giovani arrestati e 400 i feriti, studenti e poliziotti.
La rivoluzione era iniziata.
Barricate di cassonetti e laterizi sorsero nei giorni successivi per le strade di Parigi, e furono numerosi gli scontri con la polizia, in seguito all’annuncio di pene detentive per i manifestanti. Ogni giorno si registravano centinaia di arresti e centinaia di feriti: molotov e sampietrini rispondevano prontamente agli idranti, ai gas lacrimogeni e alle manganellate degli agenti.
Il culmine della violenza si registrò il 10 maggio, in cui alla manifestazione erano presenti tra i 12.000 e i 20.000 studenti. Quella notte, poi definita “la notte delle barricate”, venne occupato il Quartiere Latino di Parigi e vennero bruciate auto, devastate strade, feriti quasi 300 poliziotti.
La “fase sociale”: agli studenti si uniscono operai e sindacati
Quando il giornale Panorama, in prima linea nella cronaca di quei giorni, venne censurato, la Confédération générale du travail indisse uno sciopero generale dei lavoratori per lunedì 13 maggio, cui si unirono tutti gli altri sindacati, dando inizio alla “fase sociale” del Maggio francese.
Quel giorno 1 milione di persone, studenti e operai, scioperarono in tutta la Francia. Gli scioperi proseguirono nei giorni successivi: tra il 18 e il 19 maggio furono occupate più di 100 fabbriche e fermati i trasporti ferroviari.
Le rivendicazioni studentesche si erano quindi unite alla lotta operaia, ed erano state in grado di fermare la produzione di un intero Paese. La stampa scriveva già di una “vittoria rivoluzionaria”, l’Odéon era stato occupato dai rivoltosi e l’autorità statale aveva sempre meno presa sul popolo.
La “fase politica” del 1968 francese
Il Presidente della Repubblica Charles De Gaulle, che fino a quel momento aveva relegato la gestione delle rivolte al Primo Ministro Pompidou, fu costretto allora a prendere in mano la situazione riconoscendo il pericolo di un sovvertimento dell’ordine imminente. Dopo essersi assicurato l’appoggio dell’esercito, De Gaulle firmò un accordo con i sindacati, arginando solo in parte gli scioperi, e proclamò nuove elezioni entro la fine di giugno. Alla fine di maggio, gli scioperi terminarono gradualmente, e vennero sgomberati gli spazi universitari che ancora erano in mano agli studenti.
De Gaulle rifiutò di dimettersi: fu forse questo il primo segnale di cedimento del movimento rivoluzionario, che non era stato capace di detronizzare la massima carica dello Stato. Non solo: le elezioni del 30 giugno sancirono una vittoria incontestabile di De Gaulle.
La rivoluzione era terminata.
Non fu solo la solidità del potere e del consenso di De Gaulle a fermare la rivoluzione. Come dichiarato ai giornali da Cohn-Bendit, il movimento sociale del Maggio non si era dato scopi precisi, se non una contestazione tout court del potere in quanto tale: i manifestanti si ispiravano ai principi di Sartre, Mao, Che Guevara, agendo in modo spontaneo e incontrollato. L’assenza totale di progettualità del movimento, elogiata in un primo momento da Cohn-Bendit, condusse invece alla sua fine.
Maggio francese: qualcosa è rimasto
Nonostante la rivoluzione del Maggio fosse rimasta incompiuta, quel movimento pose le basi per quelli futuri, per le lotte contro la discriminazione di genere e di etnia, e contro lo sfruttamento del lavoro di fabbrica.
56 anni dopo quel mese di fuoco, gli studenti oggi sono tornati a far sentire la loro voce su un tema più attuale che mai, il genocidio subito dalla popolazione palestinese nella striscia di Gaza per mano di Israele, protestando alla Sorbona, occupando l’istituto di Scienze Politiche di Parigi e subendo da mesi la repressione della polizia.
Che si tratti o meno dell’inizio di un nuovo Maggio francese, una cosa resta chiara: i francesi, storicamente, non si sono mai fatti problemi a schierarsi dalla parte del popolo e dei più deboli, anche a costo di mettere in discussione la legge e i sistemi di potere. Forse, noi italiani, dovremmo imparare da loro.
Michela Di Pasquale