Insediamento di Nicolás Maduro: il Venezuela piomba nel caos politico

Maduro Venezuela

L’insediamento di Maduro per il suo terzo mandato presidenziale, previsto per questo venerdì, sta gettando il Venezuela in una profonda ondata di instabilità. Mentre Machado e González Urrutia approfondiscono la loro alleanza con gli Stati Unit, le forze armate si schierano con Maduro e il rischio di tensioni (e violenze) tra la popolazione è altissimo.

Dopo aver vinto le contestate elezioni presidenziali dello scorso luglio, Nicolás Maduro è pronto per iniziare il suo terzo mandato: l’insediamento è previsto per il 10 gennaio e sono già iniziate le proteste da parte dell’opposizione, che potrebbero portare a un’escalation delle ostilità nel Paese.

Il Consiglio Elettorale Nazionale non ha mai pubblicato per intero i risultati delle elezioni del 28 luglio ma, secondo i bollettini che sono trapelati, Maduro avrebbe raggiunto solo il 52% dei consensi, contro il 70% ottenuto da Edmundo González Urrutia, ex diplomatico esule a Madrid che è stato scelto come leader dell’opposizione dopo che il governo ha vietato a María Corina Machado di correre alle elezioni presidenziali come candidata.

La stessa Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha denunciato quanto successo, definendo la repressione messa in atto dal regime di Maduro come “terrorismo di Stato”.

Rotture diplomatiche (e politiche)

Le tensioni, dopo le accuse di brogli e corruzione, sono riaffermate negli scorsi giorni quando Machado ha incoraggiato il popolo a mobilitarsi sul suo profilo X:

«Questo è il giorno! Il giorno in cui uniremo la nostra bandiera in un unico grido di libertà. Questo 9 gennaio scenderemo tutti in piazza, in Venezuela e nel mondo. Gloria alle persone coraggiose!»

Il 6 gennaio, González Urrutia si è recato alla Casa Bianca per un incontro con il Presidente statunitense Joe Biden, mandando un chiaro segnale di sostegno alla sovranità popolare e alla democrazia.

Sono stati poi molti i Paesi a riconoscere González Urrutia come legittimo Presidente, tra cui la Spagna, l’Argentina, l’Italia e il Paraguay, con cui il Venezuela ha da poco annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche.

Ciò ha suscitato le ire del Capo di Stato, che ha chiesto a gran voce una taglia da 100 mila dollari per catturare González Urrutia, formalmente accusato di cospirazione.

Le forze armate venezuelane, da giorni dispiegate nelle strade di Caracas e delle principali città del Paese, hanno espresso invece il loro fermo sostegno a favore di Nicolás Maduro.

Inoltre, il governo ha deciso di bloccare la piattaforma social media TikTok, un ulteriore segnale di repressione delle principali libertà dei cittadini.

Le incognite del 10 gennaio

Ci sono molti dubbi circa il fatto che Maduro riesca a prestare nuovamente giuramento come Presidente, soprattutto dopo la mancata trasparenza delle ultime elezioni. In aggiunta, il Presidente uscente non sembra avere un piano deciso su come arginare la situazione e negli ultimi giorni ha rilasciato pochi commenti, in cui la concretezza delle sue future azioni lascia in ogni caso desiderare.

Una cosa è certa, una terza presidenza del sindacalista consoliderebbe ulteriormente il suo potere e le sue azioni, rendendole al contempo paradossalmente più fragili in quanto ormai chiaramente lontane dagli standard internazionali, nonostante i reiterati tentativi per arginare il proprio isolamento politico.

Una mobilitazione di massa contro l’attuale regime, sintomo di un indebolimento del chavismo, potrebbe portare a grandi disordini in grado di impedire l’insediamento: gran parte del popolo infatti si è espressa contraria al leader socialista e lo dimostrano le centinaia di manifestazioni unite a più di 2.000 arresti.

All’orizzonte potrebbe profilarsi una situazione simile a quella del 2019, quando Juan Guaidó si è auto-proclamato Presidente salvo poi essere rimosso da Maduro stesso con un’abile mossa politica, anche se le circostanze attuale si inseriscono in un quadro geopolitico ormai molto differente.

Molto dipenderà anche dai passi che deciderà di compiere la seconda amministrazione Trump, pendendo nuovamente per una “politica di massima pressione” contro l’attuale regime o, al contrario, optando per un approccio più pragmatico.

D’altra parte, González Urrutia è motivato a tornare in Venezuela e giurare come legittimo Presidente, sia con il supporto di Biden che con quello di Trump.




Una profonda crisi senza fine

La più grande preoccupazione per questa forte instabilità riguarda il popolo venezuelano, in bilico tra essere l’ennesimo baluardo imperialista degli USA e il parco giochi della tirannia fascista.

In questo senso, le parole di Machado riflettono il vero significato delle tensioni in atto:

«Il 10 gennaio non è una scadenza per recuperare la democrazia ma è piuttosto una cartina di tornasole e una scadenza per Maduro e per quei governi democratici che finora non hanno preso una decisione chiara […] Non è possibile stare a metà tra giustizia e corruzione, tra rispetto dei diritti umani e tortura, tra libertà e oppressione […]

Oggi, rispetto al 2019, il popolo venezuelano ha molta più forza di quella che aveva allora e il regime è molto più debole di quanto fosse evidente in quella monumentale sconfitta che subì. In più, la brutale ondata repressiva che ha avuto luogo ha isolato Maduro esternamente e lo ha messo alle strette internamente […] Egli sa che non esiste modo di permanere al potere se non con la violenza e questo oggi è diventato insostenibile.»

Nonostante il cambio politico e culturale che sta avvenendo nel Paese, in un tale clima di paura e intimidazioni è difficile pensare una mobilitazione popolare possa fermare il regime.

Per di più, il problema di una crescita esorbitante dell’immigrazione è sempre più vicino e potrebbe compromettere i rapporti con Donald Trump e i suoi piani di deportazione di massa.

Anche se Edmundo González Urrutia riuscisse a salire al potere, ciò non comporterebbe necessariamente la liberazione del popolo venezuelano o il ritrovamento di una sincera democrazia ma ad oggi questa sembra l’unica alternativa.

Sul suo canale Telegram, l’erede di Hugo Chavez ha descritto il suo Paese come “il luogo in cui si decide il futuro dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo“: anche se può sembrare fuorviante, questa frase nasconde un fondo di verità, mettendo in un luce una situazione comune a molti Paesi dell’America Latina o dell’Africa.

Manca una solida e realmente democratica alternativa a una politica spaccata tra il mero servilismo e i fiacchi  retaggi di un passato rivoluzionario trasformatosi in autoritarismo. L’unica certezza è che la popolazione del Venezuela continuerà a lottare e a far sentire la propria voce.

Sara Coico

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