Madri pentite: un sentimento comune?
Esistono davvero madri pentite di aver messo al mondo i propri figli? O che rinuncerebbero alla maternità senza battere ciglio? Madri pentite di aver dovuto “dire addio a libertà, progetti e ambizioni” per un bambino che non hanno mai sentito e che non sentono come proprio?
Ci verrebbe spontaneo rispondere di no, soprattutto perché- nel mondo in cui viviamo- siamo abituati a sentire quanto bella e meravigliosa sia la maternità. Si tende a etichettare come “strane” tutte quelle donne che rinunciano volontariamente ad avere figli e come “donne senza morale” le poche che, andando controcorrente, ammettono che tornerebbe volentieri indietro. Eppure, stando all’indagine pubblicata dalla sociologa israeliana Orna Donath, quello della madre pentita sembra essere un sentimento comune a tante, tantissime donne.
#RegrettingMotherhood: un hashtag diventato virale, un libro, un tabù infranto
Sono 23 le madri pentite che hanno deciso di rendere pubbliche le loro testimonianze sul libro Regretting Motherhood: il risultato di uno studio sociologico compiuto tra il 2008 e il 2013, dalla sociologa israeliana Orna Donath. La confessione di 23 donne ebree israeliane d’età compresa tra i 26 e i 73 anni, madri e a volte nonne, disposte a dichiarare di essersi pentite di essere madri.
Il libro è diventato presto un best seller, suscitando non poche polemiche dalla città di Gerusalemme alla Norvegia, dalla Svezia, Finlandia, Austria fino all’ Estonia. Ma è in Germania che il testo ha lasciato il segno; per mesi non c’è stato giorno in cui non si sia affrontato il tema del “pentimento di maternità”: l’hashtag #regrettingmoterhood è diventato presto virale, spopolando e dando adito a numerosi post (per lo più insolenti) sui social network. Ai commenti più duri, quelli che accusano la Donath di essere una donna contro le madri, la sociologa risponde:
voglio subito dire che non sono contro la maternità, non sono contro le madri e soprattutto non sono contro i bambini. Io sono una non madre per scelta. Da quando avevo 16 anni so che non avrei voluto figli. Poi ho capito che la società si poneva nei miei confronti come con qualcuno che aveva un problema. Sono stata perseguitata con l’anatema: «Un giorno te ne pentirai», e quindi da sociologa ho scelto di analizzare il triangolo rimpianto-genitorialità-società. Mi incuriosiva la possibilità che anche chi ha messo al mondo un figlio potesse avere dei pentimenti.
Sono moltissimi, infatti, quelli che accusano la sociologa di aver fondato uno studio su troppe poche testimonianze ma la Donath ha la sua risposta “la statistica è un modo, non l’unico, per comprendere la vita. Questo studio non è nato per essere rappresentativo numericamente ma per dare attenzione a donne che vivevano un disagio. E comunque di storie ne ho molte, molte di più!”
Questo per dire che 23 è un numero simbolico che è bastato a infrangere un tabù: “non per tutte le donne essere madre è la cosa più bella del mondo. Non per tutte la maternità è una realizzazione”.
Nessuno prima di Orna Donath aveva avuto il coraggio di andare a fondo nell’approfondire una tematica tanto delicata quanto difficile da spiegare e da raccontare. Regretting Moterhood ha permesso a tante donne, non solo le 23 del libro, di esprimere il proprio disagio, la propria sofferenza. Ha permesso a tante donne di sentirsi libere e normali nel non voler essere madri.
È la società a imporre ad una donna di essere madre?
Mi piacerebbe molto non avere figli. Nessuno dei tre. Ho dovuto farli. Mi fa molto male dirlo, e loro non sentiranno mai queste parole uscire dalla mia bocca. Rinuncerei a loro, totalmente. Veramente. Senza battere ciglio. Ed è difficile per me ammetterlo, perché li amo. Molto. Ma mi piacerebbe farne a meno.
Questo è quanto racconta una madre pentita nel libro della Donath.
Sostenere che ami i tuoi figli ma che rinunceresti totalmente a loro vuole dire tutto e niente. Se rinunceresti a loro non li ami profondamente come dici. Dichiarare che "hai dovuto farli" è un'affermazione che non può trovare consenso né giustificazione, non scegli di fare figli “perché la società lo impone”. Qui non si parla di disagio.
Il disagio può essere quello di sentirsi non adeguate nel ruolo di madre. Questo sì. Per quanto triste, è ancora capibile e ammissibile; ma diventare madre perché “obbligata” è una frase che non ha senso di esistere. Nessuno impone niente a nessuno. La società dà per scontato che una donna sposata debba andare incontro alla maternità ma non obbliga nessuna a diventare madre contro il suo volere. Per questo nessuna donna può dirsi vittima di un sistema. Nessuna.
Le uniche vittime sono i figli, che cresceranno sapendo di essere
"il frutto voluto e imposto dalla società".
Francesca Conti