Madri di Plaza de Mayo, una vita di battaglie e sofferenze alla ricerca dei figli desaparecidos

madri di plaza de mayo

Nel 1977, un anno dopo il golpe argentino, 16 coraggiose donne organizzarono quella che sarebbe passata alla storia come la marcia delle madri di Plaza De Mayo.

In Argentina, nel 1976, un colpo di stato destituì il presidente dell’epoca, Isabel Martìnez de Peròn, e diede inizio a una lunga dittatura finita solo nel 1983. Nonostante il ripristino della democrazia, il regime ha segnato il paese, lasciando una cicatrice indelebile nelle persone. Sono stati sette anni bui e sanguinosi durante i quali l’indifferenza, la violenza e l’omertà hanno portato alla scomparsa di centinaia di giovani. Purtroppo, molti di loro non sono mai stati ritrovati, divenendo noti al mondo con il nome di desaparecidos. Ma sulle loro tracce ci sono state, e ci sono ancora oggi, le madri di Plaza de Mayo, donne coraggiose disperatamente in cerca di verità e giustizia.




Prima del Golpe

Nell’estate del 1974 morì Juan Domingo Peròn, lasciando l’Argentina in un momento molto difficile a causa di una forte crisi, aggravata da continui episodi di violenza interna. Isabel cercò di proseguire con la linea politica di Peròn, ma, influenzata soprattutto dall’allora Ministro del Welfare José Lopez Rega, non riuscì mai a stabilizzare la Nazione.

Rega, capo dell’organizzazione paramilitare neofascista Tripla A (Alianza Anticomunista Argentina), contribuì notevolmente a portare il Paese in un clima di instabilità politica. Infatti, era solito devolvere ingenti finanziamenti all’associazione, invece di destinarli al Ministero per cui erano stati stanziati. Contemporaneamente nell’ala di sinistra, l’Esercito Rivoluzionario del Popolo, di orientamento trotzkista, promuoveva la guerriglia urbana, quale migliore forma di opposizione alla Tripla A.

Seguirono due anni di grandi tensioni che peggiorano quando nel 1975 la Peròn conferì al generale Videla l’incarico di Ministro degli Interni, agevolando di fatto la sua ascesa al potere.

24 marzo 1976

Quella storica notte il colpo di stato organizzato dalla forze armate mise fine alla democrazia dell’Argentina. Infatti, destituita Isabelita, il paese passò sotto il controllo della Giunta Militare guidata dal generale Jorge Rafael Videla che, con i capi della Marina, Emilio Eduardo Massera, e dell’Aviazione, Orlando Ramon Agosti, prese i pieni poteri.

Per sette lunghi anni si alternarono alla guida sei dittatori, con l’intento di realizzare il “Processo di Riorganizzazione Nazionale”. Sebbene gli obiettivi dichiarati fossero il combattere la corruzione e la sovversione, di fatto il regime instaurò uno stato autoritario, fondato su una politica del terrorismo e della violazione dei diritti umani. Inoltre, smantellò i partiti e condannò le attività sindacali, così come la stampa e la libertà di espressione.

La “guerra sucia”

Il conflitto non armato, strategicamente organizzato dai militari del regime, è passato alla storia con il nome la “guerra sucia”, ovvero la “guerra sporca”. Intrapresa contro tutti coloro che non mostravano simpatia per il governo, costrinse centinaia di persone a subire sequestri, violenze e torture, poiché considerate nemiche dello stato.

Quando nel dicembre 1983 si dimise l’ultimo generale  della Giunta, i numeri delle vittime segnarono le pagine nere di cronaca. Oltre 2.500 morti accertati e più di 30.000 desaparecidos.

I desaparecidos

Letteralmente il termine identifica tutte le persone illegalmente sequestrate e spesso torturate. Di fatto, sono vittime innocenti, persone la cui unica colpa è stata voler rivendicare un diritto fondamentale quale è la libertà di espressione e di pensiero.

Tra il 1976 e il 1983, in  un clima di puro terrore, di loro si è persa ogni traccia e ancora si cercano risposte. Purtroppo, in quegli anni venne istituzionalizzata la pratica della tortura e sorsero anche numerosi centri di detenzione, nei quali tanti dei desaparecidos sono entrati, ma mai più usciti.




Madri di Plaza de Mayo

Oggi è un’associazione formata dalle madri dei desaparecidos che lottano ogni giorno per i diritti umani e civili. Unite da un tragico destino, non si arrendono e rivendicano la scomparsa dei loro figli, sperando di ottenerne la restituzione. A contraddistinguerle c’è un fazzoletto bianco annodato sulla testa, un simbolo di protesta, che ha sostituito l’originario pannolino di tela.

Sebbene abbiano lo stesso obiettivo, le madri di Plaza de Mayo si dividono in due fazioni, poiché non tutte condividono lo stesso modus operandi. Infatti, alcune hanno accettato un indennizzo, principalmente per rimediare alle difficoltà economiche; invece, altre sono fortemente contrarie, in quanto percepiscono questa scelta come un fallimento della ricerca di giustizia.

All’epoca della dittatura, passarono diversi mesi prima che alcune madri trovassero il coraggio di recarsi di persona dalle autorità, per chiedere notizie dei loro figli. Una scelta coraggiosa e pericolosa, che le costrinse a subire umiliazioni senza ricevere risposte che non fossero menzogne. Un velo di omertà nascondeva gli orrori della dittatura, lucrando sulla sofferenza di donne alla disperata ricerca dei loro figli.

Nel tempo la protesta si trasformò poi in una marcia silenziosa, in un tappeto di fazzoletti bianchi, che ogni giovedì alle 15.30 cammina senza proferire parola. Insieme partono dalla piazza dove tutto ha avuto inizio, Plaza de Mayo, e la percorrono in senso circolare, girando intorno alla piramide per poi fermarsi al centro.

30 aprile 1977

Il primo raduno delle madri di Plaza de Mayo porta questa data, che vide in piazza le sedici componenti storiche dell’associazione. Riunitesi pacificamente di fronte alla Casa Rosada, il palazzo presidenziale, inizialmente vennero obbligate a spostarsi, poiché il regime aveva vietato le manifestazioni. Per questo, convinte a non volersi arrendere, le madri cominciarono a riunirsi ugualmente, prima fingendo di lavorare a maglia e dopo girando intorno alla piazza.

Per quanto il Governo avesse cercato di reprimere e non pubblicizzare il fenomeno, in breve tempo sempre più persone si unirono alla protesta. Dai parenti agli amici dei desaparecidos, decine di manifestanti affollavano ogni giovedì la piazza, attirando anche l’attenzione della stampa internazionale: la marcia del silenzio faceva comunque rumore. In Argentina. Nel mondo.

Purtroppo, molte madri furono arrestate, condannate allo stesso destino dei figli, mentre altre, circa 720 secondo il rapporto “Nunca mas”, sono state uccise. Derise dai militari che, come racconta Taty Almeida, le chiamavano “locas”, ovvero pazze, non si sono mai arrese e ancora oggi protestano per i loro desaparecidos. Tra le più celebri madri di Plaza de Mayo si ricordano: Azucena Villaflor, Maria Antokoletz e le suore francesi Alice Domon e Léonie Duquet. Ma sono tante, anzi tantissime e le loro storie riempiono gli archivi di Memoria Abierta.




Le madri oggi

Anziane, malate e ferite, ogni giovedì sono in piazza. Alcune accompagnate dai nipoti, altre sulle loro sedie a rotelle o aggrappate a un misero bastone: ma non mancano mai. La giustizia resta per loro una priorità assoluta così come far conoscere al mondo gli orrori della dittatura argentina. “Non siamo rimaste in molte”, dice Taty Almeida, per questo:

Dovranno essere i giovani a continuare la nostra lotta, ma solo nei tribunali: la violenza non ha mai ragione. E poi lottate per tutte le cause che ritenete giuste: non lasciatevi scorrere la vita addosso con indifferenza.

Un esempio di sconfinato coraggio, di amore per la vita e per i diritti di chi non ha potuto goderne. In una realtà che ancora oggi preferisce dimenticare e nascondere, le madri di Plaza de Mayo vanno meravigliosamente contro corrente. Guardarle suscita emozioni contrastanti e rende difficile proferire parola, ma fa riflettere su quanto sia importante raccontare la storia e le sue verità.

Perché la migliore arma contro un triste ricorso storico, di qualsiasi tipo, è conoscerne le radici, per riconoscerne subito una pericolosa nuova fiamma.

Carolina Salomoni

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