Quello di Madalyn Murray O’Hair è un nome non troppo noto. Non in Italia, almeno. Eppure, è importantissimo per la storia del diritto civile.
Era il 1960, Madalyn si era laureata in giurisprudenza da otto anni e non esercitava la professione di avvocato perché non aveva superato l’esame di abilitazione.
Suo figlio, William J. Murray III era ancora un ragazzino, quando si ritrovò a parlarle del fatto che a scuola (pubblica) era obbligato a partecipare alle letture della Bibbia. Un fatto giudicato intollerabile, che va oltre il principio di separazione tra stato e chiesa, tra stato e religione.
Un fatto gravemente anticostituzionale che spinse Madalyn Murray O’Hair a intentare causa contro il Sistema Pubblico Scolastico della Città di Baltimora.
Sostenendo che il rifiuto del figlio di partecipare alla lettura dei testi sacri fosse all’origine di atti di bullismo da parte dei compagni di classe, tollerati e ignorati dalla dirigenza della scuola, vinse la causa. E con un grande successo. La Corte Suprema degli Stati Uniti votò infatti 8 contro 1 a favore della Murray.
Questo importante processo ebbe come conseguenza il divieto di preghiera coercitiva all’interno della scuola pubblica.
Un vero successo per la giovane donna. Che la spinse ad interessarsi sempre di più ai diritti civili dei non credenti, ed ebbe come conseguenza la fondazione dell’associazione atei americani. Un ente non a scopo di lucro che si impegnava a lavorare per la separazione tra stato e chiesa, che troppo spesso viene dimenticata e messa da parte. Ma che rimane fondamentale e essenziale all’interno della società.
A questo impegno la Murray ha dedicato la vita intera, presentando numerose cause che imponevano l’attenzione sulle ingerenze della Chiesa e sulla violazione della Costituzione degli Stati Uniti. Questioni morali, così come economiche e di natura fiscale.
Dopo la morte della Murray, avvenuta in circostanze davvero drammatiche, suo figlio spese delle parole molto dure nei confronti della madre. Infatti, la accusò pubblicamente di aver nascosto allo stato americano milioni di dollari, evadendo il fisco. Un’azione davvero deludente, soprattutto se a compierla è una persona che si professa integerrima e denuncia le scorrettezze – appunto, anche di natura economica – altrui.
Ma l’incoerenza di questa donna non è l’aspetto fondamentale sul quale vale la pena concentrarsi.
E’ importante invece capire come le azioni della Murray hanno contribuito a spostare l’attenzione su un tema importante come quello dell’ateismo. Sin dai tempi più remoti, la Chiesa si è intrecciata alle dinamiche di potere. Ma non solo. L’adesione ad una religione piuttosto che ad un’altra ha anche una volenza identitaria e sociale che è impossibile ignorare. Fino al momento dell’istanza del 1960, la libertà di religione era stata considerata un diritto, ma soprattutto nell’ottica in cui le persone avessero la libertà di scegliere una religione, e non di non professarne alcuna.
Tristemente, ancora oggi i conflitti che hanno a che vedere con cause religiose, e l’emarginazione di alcune persone a causa del proprio credo sono all’ordine del giorno. A volte, sembra quasi che si perda di vista il diritto di credere, ma anche quella di non credere dovrebbe essere una scelta rispettabile e rispettata. E, ancor di più, bisognerebbe che la religione non interferisse nelle questioni di stato. Come quella relativa all’abolizione del diritto all’aborto in Polonia, che sta creando non poca indignazione. In merito a questo, è particolarmente degna di nota l’iniziativa di alcune donne che hanno fatto irruzione proprio in chiesa per rivendicare il proprio diritto di scelta. Un episodio di cronaca che non si può ignorare e che ci riporta tristemente indietro nel tempo.
Sofia Dora Chilleri