Situato nell’area sud-orientale dell’isola, l’altopiano di Mahafaly è una delle regioni più aride del Madagascar: in tutta la sua estensione non c’è traccia di fiumi o laghi e le scarse precipitazioni stagionali vengono rapidamente assorbite dal terreno poroso. In questo ambiente ostile, le comunità etniche Mahafaly e Tandroy hanno ideato nuove soluzioni per convivere con la siccità, avvalendosi delle risorse che la Natura gli ha messo a disposizione. In che modo? Utilizzando i Baobab come grandi cisterne idriche.
I Baobab: gli alberi dell’acqua e della vita
Questi alberi secolari sono caratterizzati da un fusto che può raggiungere un diametro di 8 metri e gli esemplari più grandi possono arrivare a contenere fino a 150.000 litri di acqua piovana, che la grazie alla spessa corteccia viene protetta da contaminazioni esterne. Così, durante la stagione delle piogge, l’acqua viene raccolta e disposta nei tronchi dei baobab precedentemente forati e scavati al loro interno.
Quando l’agricoltore trova un baobab adulto, l’area viene pulita e contrassegnata per informare che qualcuno ha preso l’albero. Quindi, un gallo viene sacrificato per chiedere il permesso e la benedizione agli antenati, perché il baobab è sacro e ospita spiriti.
Si tratta di una pratica ereditata dagli antenati della regione, in adattamento alla carestia e alla siccità riscontrate nel 1920. Pertanto in località come Ampotaka, un villaggio di 300 famiglie Mahafaly, la cura dei baobab è di vitale importanza, tanto che ogni famiglia ne possiede almeno uno in custodia e ne ha piena responsabilità.
Per ricavare una buona cisterna, è necessario che il baobab sia piuttosto maturo, e trattandosi di alberi millenari significa che l’esemplare deve aver superato almeno i trecento anni di vita. Una volta scelto, sono richiesti circa dieci giorni di lavoro per ottenere la capienza necessaria: più è ampia la cavità, maggiori saranno le probabilità di sopravvivere alla siccità.
Emergenza climatica e povertà: la carestia colpisce il Madagascar
Il Madagascar sta affrontando una crisi umanitaria senza precedenti e, sebbene recenti studi scientifici riconoscano la principale causa nel crescente impoverimento della popolazione, è impossibile negare che il riscaldamento globale aggravi ulteriormente la situazione.
Sull’isola si riscontra la peggiore siccità degli ultimi quarant’anni e il cambiamento climatico sta rendendo le stagioni delle piogge sempre più incerte e discontinue. Questo costringe le comunità locali a compiere tragitti di 15-20 ore su strade dissestate, nell’intento di raggiungere delle località dove è possibile acquistare dell’ acqua: un estenuante compito assegnato alle donne delle comunità etniche.
Anche le coste dell’isola sono sempre meno sicure. Negli ultimi anni è stato registrato un aumento della frequenza degli uragani, che diventano sempre più distruttivi e difficili da prevedere. Le persone cercano così riparo nelle regioni interne, più sicure dalle catastrofi naturali, ma anche estremamente aride e inospitali.
Per questi motivi le cisterne ricavate dai Baobab sono indispensabili e la loro realizzazione, così come la custodia, assume il carattere di un’usanza sacramentale che viene tramandata di generazione in generazione.
Fabio Lovati