Machiavelli repubblicano: apologia dell’italiano più odiato dell’età moderna

Machiavelli repubblicano

Provate a cercare la voce “machiavellico” nel dizionario: troverete sempre significati nettamente negativi. Ma perché Niccolò Machiavelli, repubblicano e inventore della moderna scienza politica, viene accostato da secoli alla malvagità dei tiranni?





Capita, nella storia dell’uomo, che certi personaggi siano oggetto di ammirazione o di odio a intermittenza, a seconda delle epoche che ne recepiscono il messaggio. È il caso di Bruto, l’assassino di Cesare, martire della libertà per molti successori (si pensi a Leopardi, o ad Alfieri), simbolo di empietà e tradimento per altri (primo tra tutti, Dante).

Stesso discorso per Niccolò Machiavelli: la fama dell’ex Segretario della Repubblica fiorentina ha incontrato, dopo la morte nel 1527, alterne fortune. I primi e più tenaci avversari furono i rappresentanti della Chiesa cattolica, ovviamente ostili alle sue teorie sulla separazione tra potere politico e potere religioso; tanto che, già nel 1559, Il Principe fu inserito nell’Indice dei libri proibiti.

Oltre a subire le accuse di ateismo ed empietà da parte dei cattolici, Machiavelli fu ben presto giudicato come il teorico per eccellenza della tirannia, sostenitore della peggiore spregiudicatezza politica. Si pensi alla celebre frase a lui falsamente attribuita, “il fine giustifica i mezzi”, espressa in realtà dal critico De Sanctis per sintetizzarne il pensiero.

Furono tralasciati così tutti quegli aspetti della sua vita e della sua opera che ci consegnano invece l’immagine di un Machiavelli repubblicano, seppur molto cinico nella sua concezione della natura umana e della politica.

Anche nel linguaggio comune, il termine machiavellico è diventato sinonimo di intrigo, furbizia, arrivismo.

Di più: esso è associato, a partire dal XVII secolo, alla mentalità italiana, subdola e prevaricatrice, di cui Machiavelli sarebbe stato il perfetto rappresentante. In un’epoca di scontri sanguinosi tra Nord e Sud Europa, tra protestanti e cattolici, il pensiero di Machiavelli, interpretato spesso superficialmente, divenne simbolo della decadenza morale dei papisti.

L’ugonotto Gentillet, nel suo Discourse contre Nicolas Machiavel Florentin del 1576, attribuì proprio all’insegnamento di Machiavelli, a suo dire recepito dalla regina Caterina de Medici, la drammatica condizione del regno francese. A quei tempi, d’altronde, gli italiani non erano particolarmente amati in Francia: comprensibilmente, se si pensa l’enorme mole di debiti contratta dalla corona nei confronti di mercanti e banchieri toscani.

Così, per vicende storiche del tutto indipendenti da lui, il buon Machiavelli divenne il simbolo della cupidigia politica, soprattutto al di fuori dell’Italia. Contro di lui si espressero personalità come il sovrano illuminato Federico II di Prussia o il filosofo Immanuel Kant. In Inghilterra, egli divenne il personaggio malvagio per eccellenza del teatro elisabettiano, descritto con fattezze luciferine. Con tanto di gustosi giochi di parole: nella pronuncia inglese, il suo nome sembra infatti contenere la parola evil, “malvagità”.

E anche in tempi decisamente più moderni, la cultura pop ha ribadito questa lettura dell’autore fiorentino: chiunque conosca Game of Thrones avrà notato come la figura di Ditocorto, spregiudicato e intelligentissimo arrampicatore politico, sia modellata proprio sull’immagine più deteriore di Machiavelli.

Dietro le quinte de Il Principe

Per capire le ragioni di tanta, secolare antipatia, bisogna rivolgersi all’opera più conosciuta del Nostro. Il Principe sembra effettivamente il breviario del perfetto tiranno. Eppure la biografia di Machiavelli sembra escludere qualsiasi simpatia per il potere monarchico. Tutta la sua carriera politica si era infatti svolta durante il periodo della Repubblica fiorentina, prima della svolta autoritaria di tale regno.

L’ascesa dei Medici ne aveva addirittura causato l’arresto e l’esclusione dalla vita pubblica. Come mai allora Machiavelli, repubblicano, scrisse un’opera così apertamente filomonarchica (almeno in apparenza)? Molti storici ritengono che possa essersi trattato di un tentativo estremo per entrare nelle grazie dei nuovi regnanti, e poter nuovamente svolgere quegli incarichi pubblici a cui aveva dedicato tutta l’esistenza.

Secondo altre interpretazioni, invece, Machiavelli avrebbe appoggiato il governo autoritario come spiacevole ma necessaria condizione per poter raggiungere un obiettivo superiore: l’unificazione e liberazione della penisola italiana. Un traguardo possibile solo sotto la guida di un principe.

Ma con il passare dei secoli si è affermata con sempre maggiore forza una lettura molto diversa e decisamente più interessante: quella definita “obliqua”. A sostenerla, pensatori e letterati del calibro di Spinoza, Rousseau, Foscolo e Alfieri. Secondo costoro Il Principe sarebbe in realtà un libro rivolto ai cittadini, allo scopo di illustrare le dinamiche negative del potere assoluto, e metterli in guardia dalle sue lusinghe. Machiavelli, fingendo di spiegare al principe come si mantiene il potere, avrebbe in realtà cercato di smascherarne le trame.

Una tesi fantasiosa? Neanche troppo: ma, per dimostrarla, bisogna rivolgersi ad opere meno note.

Machiavelli repubblicano

La cattiva fama di Machiavelli si è spesso basata su una conoscenza superficiale e frammentaria delle sue opere. Testi come i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio sono stati trascurati da molti detrattori. Eppure, quest’opera è molto più rappresentativa della reale posizione politica di Machiavelli di quanto non lo sia Il Principe. Per un fatto semplicissimo: sono appunti privati, riassunti di lezioni e conversazioni da lui tenute a una ristretta cerchia di ascoltatori. E, proprio per questo, non sono soggette ad alcuna forma di autocensura: in queste pagine, insomma, Machiavelli può esprimersi in tutta libertà, come difficilmente avrebbe fatto in un’opera destinata al grande pubblico (se ci teneva alla pelle).

Ora, leggendo questi appunti, non vi sono dubbi sulla posizione del Nostro. L’autore rivendica con forza la superiorità del governo del popolo su quello del principe; difende il valore della libertà politica; e dimostra quell’acutezza che lo ha reso (nel bene e nel male) il fondatore della moderna scienza politica.

“La moltitudine è più savia e più costante che un principe”

In questo capitolo, Machiavelli ammette che il popolo non è perfetto. Tuttavia, è fermamente convinto che il peggiore dei governi popolari sarà sempre migliore del peggiore dei governi tirannici. Il primo, infatti, può sempre essere ricondotto sulla via della virtù (che egli, in senso laico, identifica con il rispetto della legge, non con qualche superiore morale divina); nel secondo, invece, non essendo ammesso il dissenso, “non vi è altro rimedio che il ferro”. Ossia, fuor di metafora, l’omicidio del despota.

Machiavelli, l’amico dei tiranni, che appoggia il tirannicidio? Sembra impossibile, nella nostra concezione del personaggio; eppure è lì, nero su bianco. E non solo; con grande modernità, egli coglie un aspetto ancora oggi centrale nel dibattito politico: il sistema democratico è quello più soggetto a critiche e attacchi, proprio per il fatto di essere l’unico sistema a non reprimere con il sangue coloro che lo contestano.

“La opinione contro ai popoli nasce perché dei popoli ciascuno dice male sanza paura e liberamente ancora mentre che regnano: dei principi si parla sempre con mille paure e mille rispetti.”

L’uomo oltre il mito

Nel corso del Novecento, la figura di Machiavelli repubblicano è stata opportunamente contestualizzata e arricchita da studiosi del calibro di Benedetto Croce. Ritrovando così un’interpretazione più globale e meno semplicistica di quella del passato. Certo, nella mentalità comune, come già visto, egli è ancora soggetto a giudizi spesso inclementi, frutto di una ricezione lunga e travagliata.

E allora prendiamoci il gusto, un po’ folle, di dichiararci, di tanto in tanto, machiavellici. Perché no, anche con un po’ di orgoglio nazionale, di quello sano, di cui oggi avremmo tanto bisogno.

Elena Brizio

 

 

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